I timori di esuberi in Alitalia sono per ora allontanati: ieri in audizione al Senato il direttore generale Giancarlo Zeni ha definito come «infondate» le indiscrezioni secondo le quali resteranno a terra 8 aerei, generando mille dipendenti in eccesso. Forse è solo prematuro. Zeni ha in mano le redini della gestione e del conto economico, e ha come obbiettivo la redditività, riassestando lo squilibrio tra costi e ricavi: «La mia ossessione quotidiana», confessa. Le misure tuttavia non sono ancora state decise. Per coincidenza, i dipendenti in cassa integrazione sono proprio un migliaio.
Giuseppe Leogrande (in foto), il nuovo commissario straordinario, vuole rispettare la data del 31 maggio che il governo gli ha indicato come termine ultimo per risolvere l'affaire Alitalia. Ieri in Senato ha detto che entro quella data «dobbiamo avere un riassetto della struttura imprenditoriale». Ha aggiunto: «Un posizionamento pubblico rilevante vedrebbe il mio favore e credo anche di un eventuale partner industriale, proprio per la natura di servizio pubblico dell'azienda».
Sono affermazioni che vanno interpretate alla luce dell'incarico affidato a Leogrande: egli ha il compito di ristrutturare la compagnia, mandato che non apparteneva ai precedenti commissari, vincolati a vendere l'azienda senza modificarne il perimetro, vincolo talmente rigido che ha prodotto, dopo due anni e mezzo, l'esito che sappiamo. Leogrande ha dunque le mani libere. Quando parla di «uscire dall'amministrazione straordinaria per rimettersi sul mercato in un'ottica di lungo termine» sa dunque di avere gli strumenti per farlo. Può creare una newco con le attività di volo in equilibrio economico, lasciando a una bad company tutto il debito: è il modello utilizzato per il rilancio di Blue Panorama, gestito con successo dal tandem Leogrande-Zeni.
L'operazione deve fare i conti anche con la Commissione europea, che a breve dovrà pronunciarsi sul prestito ponte, stabilendo se si tratti o meno di aiuto di Stato. Parliamo di quei 1.300 milioni che hanno permesso alla compagnia di sopravvivere. L'ipotesi è che quel debito di 1,3 miliardi finisca nella bad company, restando appeso alla liquidazione, a babbo morto. Ma per creare bad e good company Leogrande dovrà usare una tempistica accorta, per fare in modo che non appaia come una palese elusione delle norme europee.
Alitalia pubblica o privata, dunque? Se Leogrande si è sbilanciato sul giudizio significa che il governo ha dato indicazioni precise. Nulla vieta a un'azienda europea di essere a capitale pubblico, basta che non violi le regole del mercato.
Potrebbe riemergere come partner il gruppo Fs, per poi pensare a nuovi allargamenti: i colloqui con Delta, con il pretesto dell'alleanza transatlantica, continuano. Certo è che Leogrande farà il giro delle sette chiese, «anche otto», alla ricerca di interessati.
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