Allarme Trevi, banche verso il blitz

Il gruppo di costruzioni rinvia l'ok alla trimestrale. Giù il titolo: -22%. Cdp in rosso

Allarme Trevi, banche verso il blitz

Cortocircuito finanziario in casa Trevi. La società di Cesena che opera a livello mondiale nell'ingegneria del sottosuolo ha deciso di non approvare i conti del terzo trimestre che accusano «sensibili scostamenti rispetto alle principali voci di conto economico e della posizione finanziaria netta». Una notizia che ha abbattuto il titolo in Piazza Affari: l'azione in avvio di seduta non è riuscita nemmeno ad aprire segnando un calo del 14,61% teorico. Riammessa in mattinata agli scambi è stata subito sospesa, facendo segnare un -18,96% teorico per poi chiudere in calo del 22,20% a 0,41 euro.

Un deja vu - a circa un mese dall'approvazione della semestrale che aveva già allertato sulla mancata continuità aziendale - che aggrava la posizione degli azionisti: la famiglia Trevisani in primis (39%) e la Cdp (16,85%). Gli analisti temono infatti un maxi aumento di capitale, nonché l'ingresso delle banche nel libro soci.

D'altra parte gli attuali azionisti hanno già perso molto. Tre anni fa la Cdp ha investito 101 milioni per rilevare il 16,85% del gruppo romagnolo attivo a livello mondiale con più di 30 sedi e una presenza in oltre 80 Paesi. Il titolo all'epoca viaggiava a 4 euro, mentre oggi è sceso fino a quota 0,4 euro. Erano altri tempi. Quelli in cui Trevi veniva «citata» (prima dell'ufficializzazione) dal premier Matteo Renzi per aver vinto una commessa da oltre 2 miliardi per ristrutturare la diga di Mosul, la stessa Trevi per la quale il governo era pronto a schierare un esercito in difesa dei lavori. E quella società sulla quale ancora non pesava la crisi delle major petrolifere e il relativo taglio degli investimenti (potenziali appalti per la società). Per quanto riguarda i conti, ad oggi la voce più delicata è il debito: 566 milioni a fine giugno. Vi è, infatti, grande incertezza sull'esito delle negoziazioni in corso con le banche per definire un accordo di standstill, propedeutico alla ristrutturazione del gruppo e alla realizzazione del piano industriale. Cosa può succedere dunque ora? Per Trevi, come fu per Sorgenia, è sempre più vicina la possibilità che le banche creditrici trasformino il debito in equity e ne diventino socie.

A quel punto l'azionariato potrebbe diventare davvero affollato visto che sono 30 gli istituti di credito esposti verso il gruppo: tra queste spiccano Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bnl-Bnp e Mps. Una possibilità, quest'ultima, che potrebbe concretizzarsi con il nuovo anno. La scadenza fissata per scendere a patti con le banche è al 31 dicembre e il cda ha deliberato di riunirsi di nuovo entro dicembre per riesaminare il rendiconto intermedio dei primi nove mesi 2017.

Il consiglio ha anche dato il compito agli organismi di governance di identificare un manager a cui possa essere affidata la responsabilità di chief restructuring officer e ha avviato un'analisi per rimodulare soluzioni straordinarie, inclusa la tanto temuta ricapitalizzazione.

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