Non l'austerity, non il diluvio di tasse, nè le famiglie e le imprese ormai allo stremo: se l'Italia è condannata a non vedere la ripresa nel 2013 neppure col binocolo, la colpa è «dell'incertezza e delle condizioni creditizie difficili». È una diagnosi quantomeno suggestiva quella offerta dalla Commissione Ue sul nostro Paese, in un referto per nulla benigno e per niente mitigato dal peggioramento dell'intera euro zona. Ancora recessione. Disoccupazione alle stelle. Debito pubblico record.
Il rapporto arrivato ieri da Bruxelles è freddo come una lama. Dalle ultime previsioni è passato appena un semestre, ma tutto sembra cambiato. In peggio. Con una contrazione del 2,3% nel 2012, l'economia italiana è in «profonda recessione», spiega in modo un po' lapalissiano l'Ue. Secondo la quale l'effetto depressivo del calo della domanda interna, i contorcimenti dei mercati e il protrarsi della crisi del debito non sono elementi ancora permanenti, tali da giustificare un ulteriore calo del Pil (-0,5%) l'anno prossimo. Anzi. Contraddicendo le proprie stime, gli esperti della Commissioni parlano di una «tiepida ripresa» nel 2013. Servirà invece un altro anno prima di vedere una (modesta) crescita dello 0,8%.
Insomma, un altro biennio a motore spento. E con sempre più gente a spasso. Già quest'anno supereremo l'asticella della doppia cifra, con il 10,6% di disoccupati. Destinati a salire all'11,5% nel 2013. Andrà meglio nell'anno della ripresina? Neppure per sogno: nel 2014 altro scatto in avanti, fino all'11,8%. Resta da capire, con simili cifre, quale consistenza possa avere l'espansione economica prevista fra due anni. Con così tanti senza-lavoro, il rischio è invece quello di un ulteriore impoverimento del Paese.
Il problema riguarda però tutte le economie occidentali. Obama ha rischiato di non essere rieletto proprio per non aver saputo tonificare il mercato del lavoro. Un peccato capitale in una nazione basata sui consumi privati. Mario Draghi ha parlato ieri di livello «deplorevolmente» alto di disoccupati in tutta Eurolandia (11,8% nel 2013), sottolineando come «la crisi sia arrivata anche in Germania» (a confermarlo, il calo dell'1,8% della produzione industriale tedesca in settembre). Perfino Angela Merkel se ne è resa conto: «Stiamo vivendo una grande crisi dell'euro, ma rischia di arrivare una crisi ancora più grande se l'economia europea non riuscirà a riprendersi». Parole che, unite all'allarme della Commissione Ue e al pollice verso mostrato da Wall Street a Obama, hanno depresso le Borse europee, tutte in forte calo (-2,5% Milano, la peggiore). Come sia possibile coniugare l'austerità con la crescita nessuno è però ancora riuscito a dimostrarlo. Sottolinea infatti l'economista Nouriel Roubini: il processo di austerità fiscale «è stato troppo veloce e non si è posta enfasi sufficiente sulle politiche per la crescita». È però l'irrisolta contraddizione rigore-sviluppo che porta Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari, a dirsi da un lato «preoccupato per il tasso di crescita rallentato» dell'Italia (ma di quale crescita parla?) e, dall'altro, a mostrarsi ugualmente preoccupato per il rischio che possa allentarsi la presa sul risanamento dei conti. Bruxelles, per la verità, ci colloca tra i più virtuosi almeno fino al 2014: già da quest'anno il rapporto deficit-Pil scenderà al di sotto della soglia di Maastricht del 3%; nel 2013 calerà ulteriormente al 2,1%, valore che verrà mantenuto anche nel 2014. Ma Rehn teme che nel 2014 il nostro Paese non adotti misure aggiuntive e rallenti il processo di contenimento del debito.
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