Litigano ancora. A poche ore dalla riunione dell'Eurogruppo (oggi alle ore 14), una specie di summit da «dentro o fuori», tra Grecia e creditori continuano a volare gli stracci. Anche se si stanno consumando gli ultimi granelli di sabbia rimasti nella clessidra. Il tempo fugge, l'accordo non c'è, e lunedì riaprono i mercati. Con un umore che potrebbe essere ben diverso, in caso di mancata intesa, di quello visto ieri. A dispetto di negoziati che si muovono sul filo del rasoio, con lo spettro di una rottura clamorosa e dalle conseguenze imprevedibili tutt'altro che dissolto, le Borse scommettono sul lieto fine: Atene ha guadagnato il 2% e Milano lo 0,74%, con lo spread in calo a 124 punti.
Dopo l'ennesimo, quanto inutile, vertice di giovedì, l'ex troika ha messo sul piatto una nuova proposta, definita «eccezionalmente generosa» dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel. Per tutta risposta, il premier greco Alexis Tsipras ha replicato sottolineando che il «ricatto e gli ultimatum» non rientrano tra i principi dell'Unione europea. «Non c'è alcun ultimatum. È antieuropeo dare al popolo greco l'impressione che dall'Ue arrivi un ultimatum», gli ha risposto il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. In effetti, l'offerta sottoposta ai greci appare ultimativa («Tempo 24 ore per decidere», ha detto un funzionario ellenico), ma solo perché i margini per trattare sono ormai ridottissimi, visto che il 30 giugno Atene deve rimborsare al Fondo monetario 1,6 miliardi di euro e considerato che per arrivare, in caso di intesa, all'esborso dei 7,2 miliardi di aiuti ci vorrà l'approvazione dei parlamenti di Germania, Estonia, Olanda e Finlandia. Oltre, ovviamente, al sì di quello ellenico. In sostanza, il compromesso proposto prevede il rinvio dell'attuale programma di assistenza per cinque mesi (scadenza fine novembre) con l'erogazione di 15,5 miliardi, di cui 12 miliardi appannaggio delle istituzioni europee, mentre 3,5 miliardi saranno messi a disposizione dall'Fmi.
Il problema non è tanto l'impianto generale dell'offerta, quanto ciò che Atene dovrebbe dare in cambio. Alcune fonti a Bruxelles ripetono che le distanze sono minime e che ci sono «solamente quattro o cinque punti ancora in discussione», ma sono proprio le divergenze su alcune misure che hanno finora impedito di chiudere la partita. Tra queste, quella sull'Iva. Il governo guidato dal leader di Syriza non vuole imporre l'aliquota del 23% su hotel e ristoranti, la maggiore industria del Paese, e conservare sulle isole un 30% di sconto sull'imposta. I creditori, invece, pretendono una tassazione uniforme. Sulle pensioni non c'è identità di vedute sull'eliminazione di quelle di solidarietà, mentre altre divisioni riguardano i contributi che i pensionati devono versare al sistema sanitario (la Grecia indica il 5%, i creditori vogliono un'aliquota al 6%). Sulla spesa militare i creditori vorrebbero tagli di 400 milioni mentre Atene punta a una sforbiciata di 200 milioni.
Poi c'è la questione del debito di cui Tsipras continua a chiedere le ristrutturazione o, perlomeno, a ottenere l'impegno da parte dei creditori ad alleviarlo. L'Fmi sarebbe anche d'accordo, ma in cambio chiede misure ben più draconiane di quelle proposte da Atene.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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