Borsa e mercati

La Bce dimentica Draghi e "scarica" le Borse per domare l'inflazione

L'Eurotower impone agli Stati il controllo del debito: così lo spread è libero di oscillare

La Bce dimentica Draghi e "scarica" le Borse per domare l'inflazione

Ora che piovono «spilli fitti», Christine Lagarde assomiglia sempre più alla Dolcenera di De Andrè. La Bce ha aperto del tutto le dighe, e l'alluvione sta travolgendo i residui della reggenza di Mario Draghi. Si è aperta una nuova era, dove le coordinate della rotta sono ben diverse e vanno in direzione contraria rispetto a ogni principio di mutua solidarietà. Questo cambio di paradigma, sorretto dal proposito di debellare un'inflazione sicuramente fuori controllo, va saldandosi al dichiarato intento, a livello comunitario, di imporre ai governi nazionali un ferreo controllo sulla spesa. È il perno del Next Generation Ue, da cui discendono le condizionalità cui è soggetto il Pnrr, nonché dell'annunciata riforma del Patto di stabilità con i suoi sentieri stretti nell'azione di risanamento delle finanze pubbliche. Sono poi gli stessi vincoli contabili che regolano l'attivazione del Tip, il (presunto) scudo anti-spread varato dall'Eurotower. Il pasticciaccio brutto sul price cap del gas ha infine svelato la natura del tutto episodica del Recovery Fund e affondato la speranza di eurobond strutturali.

Le recenti tensioni sui mercati, e in particolare sui differenziali di rendimento, sono l'effetto di un restringimento delle maglie monetarie di cui non ancora si vede il punto terminale. Ieri il vicepresidente dell'istituto centrale Luis de Guindos ha detto che Francoforte continuerà ad alzare i tassi di 50 punti base, ma «fino a quando non lo so». La stessa incertezza vale per la riduzione degli asset in bilancio alla Bce. Da marzo e fino a luglio, saranno tagliati bond per un controvalore di 15 miliardi di euro attraverso il mancato reinvestimento dei titoli in scadenza. Da agosto, questa cifra è destinata ad aumentare. Di quanto, non si sa. Ma è evidente che il quantitative tightening (Qt) rischia di costare davvero molto caro a un Paese come l'Italia. Non solo perché verrà meno il ruolo di compratore del nostro debito svolto negli anni dalla Bce, con 733 miliardi di Btp finiti in pancia alla banca centrale; ma anche perché nel 2023 il Tesoro dovrà emettere titoli per 330 miliardi, di cui una parte a tassi oltre il tetto del 6%. Se l'inasprimento dei rendimenti dovesse verificarsi in concomitanza con un'attenuazione dei prezzi al consumo e con una contrazione del Pil, la tenuta dei conti pubblici potrebbe non essere assicurata.

La Bce continua a negare che una recessione sia alle viste (+0,5% di crescita l'anno prossimo in base alle ultime previsioni), ma le strette ripetute al costo del denaro non escludono un atterraggio duro. È a questo che la Bce punta pur di debellare l'inflazione? Le ultime stime collocano la crescita dei prezzi su livelli ancora molto elevati l'anno prossimo (6,3%) e oltre il target di riferimento del 2% nel '24. Proiezioni che sembrano scritte dai falchi dell'istituto per giustificare la postura aggressiva. A meno che lo scopo del nuovo corso di politica monetaria non sia un altro. Spingere cioè i Paesi più vulnerabili sull'orlo di una crisi del debito, costringendoli ad accettare l'adesione al fondo salva-Stati. Quel Mes, sinonimo di commissariamento, per cui la Lagarde ha invitato l'Italia ad approvare rapidamente la riforma.

Se davvero stanno così le cose, si tratta di un gioco pericoloso e difficile da governare. Anche per la Bce. A fronte di una tempesta perfetta (finanziaria ed economica), Francoforte sarebbe costretta a compiere un'inversione a U: uno stigma sulla credibilità della banca centrale. Il 2023 è ormai alle porte, e fra qualche mese la Bce dovrà far cadere la maschera dell'incertezza.

Anche la Fed è attesa al varco. L'inflazione dà segnali di cedimento, qualcuno ipotizza un andamento deflazionistico già da gennaio, ma Jerome Powell vuole portare i tassi oltre il 5%. Alcuni analisti sostengono che il pugno duro mostrato al carovita nasconda l'intenzione di spezzare, una volta per tutte, la schiena alla speculazione finanziaria. Sarebbe la fine della «Fed put», ovvero della convinzione generale che Eccles Building interverrà - via tassi e Qe - per impedire un avvitamento dei mercati.

È un altro gioco da cerino acceso in mano. Chi si scotterà?

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