"La Bce non può fare tutto da sola"

Lagarde: "La politica fiscale dia il suo supporto. La Stagflazione? Nessun segnale"

"La Bce non può fare tutto da sola"

Tra ovvietà degne di La Palisse («La guerra avrà conseguenze sulla crescita») e il solito afflato psichedelico sulla congiuntura («Non vediamo segnali di stagflazione»), Christine Lagarde ha infilato ieri una cosa sacrosanta: «La politica monetaria non può fare tutto». Almeno per una volta, Madame ha ragione da vendere. Soprattutto nel dare la sveglia alla bella addormentata sul posto, l'Unione europea. Inchiodata dalla presidente della Bce alle proprie responsabilità: «La politica fiscale deve fornire supporto durante la guerra». Sostegno che finora, per restare in ambito militare, ha marcato pesantemente visita. Neppure un conflitto a pochi chilometri dai confini comunitari è riuscito a compattare un corpaccione sfilacciato e curvo sui propri interessi. Semmai, il senso della frattura è parso ancora più netto sia nell'immediata alzata di scudi contro gli Eurobond, l'unico strumento di contrasto al caro energia e l'unico modo per finanziare la corsa collettiva al riarmo, sia nell'incapacità di trovare una soluzione condivisa per alleggerire l'insostenibile pesantezza del prezzo dei carburanti. Mentre la numero uno dell'istituto centrale invoca «misure di bilancio mirate« per far fronte ai rialzi dei prezzi dell'energia, altrove si continua a discutere perfino su un tema pruriginoso come la riforma del Patto di stabilità. I fatti, invece, stanno a zero.

Non è la prima volta che la Lagarde mette l'Europa spalle al muro. Lo fece anche nel giugno 2020, all'acme della pandemia, quando Bruxelles faticava a trovare una quadra sul Next Generation Ue a causa dell'opposizione dei cosiddetti Paesi frugali sull'ammontare delle risorse a fondo perduto. E prima della banchiera francese, era stato Mario Draghi, poco prima di accomiatarsi dall'Eurotower (fine settembre 2019), a sostenere che con il quantitative easing la banca centrale aveva fatto abbastanza, ma che era mancata la risposta della «politica fiscale, questa è la grande differenza tra Europa e Usa». Insomma: passano gli anni, ma il gattopardo declinato all'europea («Nulla cambi, perché nulla cambi») continua a scorrazzare indisturbato. Con qualche rischio in più rispetto al passato. Il «tanto c'è la Bce» è un po' come una cambiale scaduta da quando Francoforte ha fatto la sua virata, spostando il baricentro sul versante dei falchi. La possibilità che già nel terzo trimestre gli aiuti siano azzerati, apre scenari poco rassicuranti per l'Italia sul versante del debito (ieri i rendimenti del Btp a 10 anni hanno sfiorato il 2%, con un moto ascendente che riguarda un po' tutti i titoli sovrani), ma priva di ogni alibi anche gli altri Paesi (tipo la Germania) che non hanno mai spinto per mettere a punto strategie condivise su temi cruciali. Forse sarebbe ora di mettere da parte le beghe sulla mutualizzazione dei debiti, varare gli Eurobond o, in subordine, scorporare dal deficit le spese fatte per affrontare le emergenze. Il timore è però che sia ancora la Bce a restare con il cerino in mano.

Un rischio che corre anche la Fed.

Ieri il presidente Jerome Powell si è detto pronto a muoversi «speditamente» per riportare il caro vita sotto controllo anche con singoli rialzi dei tassi maggiori dello 0,25% (rapido il balzo dei rendimenti dei T-bond). Strette da falco che possono trascinare gli Usa in recessione.

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