«Inizia facendo ciò che è necessario; quindi fai ciò che è possibile; e all'improvviso stai facendo l'impossibile». Christine Lagarde cita san Francesco per spronare l'Europa a uscire dai particolarismi, quel ripiegare su se stessi che condanna all'inazione. Per vincere la sfida in un mondo globalizzato, occorrono risposte rapide, frutto di una comunione d'intenti. Parla a Francoforte, l'ancora fresca presidente della Bce, e incardina le sue parole su quelle che erano state le linee-guida di Mario Draghi. A cominciare dall'avvertimento, sempre valido, che la politica monetaria, per quanto accomodante, non può tutto e non deve essere l'alibi per girare le spalle ai problemi.
«La politica monetaria potrebbe raggiungere il suo obiettivo più rapidamente e con meno effetti collaterali se altre politiche sostenessero la crescita al suo fianco».
Se, quindi, l'Eurotower continuerà a far la propria parte nel rispetto del «nostro mandato di stabilità dei prezzi», il resto del lavoro tocca ai governi. Chiamati a pigiare sul pedale degli investimenti pubblici. È da lì che deve arrivare la spinta per risollevare la domanda interna (ancora affossata di due punti rispetto ai livelli pre-crisi, ricorda l'ex capo dell'Fmi), e dunque i consumi, affrancandosi per quanto possibile dalla dipendenza dagli scambi internazionali. E, in particolare, dalle tensioni che derivano dal fronte commerciale, destabilizzato dallo scontro fra Stati Uniti e Cina.
L'ex capo dell'Fmi ha già mostrato di non gradire muri e protezionismi, attaccando di recente la politica divisiva di Donald Trump, ma ha anche chiaro che «il mondo intorno a noi non sta fermo: l'Europa deve riconsiderare il suo ruolo nel mondo».
Così, quel richiamare le cancellerie europee a esprimere ben altra politica suona, ancora una volta, anche come una sollecitazione rivolta alla Germania, e agli altri Paesi con ampi surplus di bilancio, a non lesinare sulle spese. E quel richiamo, unito alla dichiarato volontà di non cambiare strategie, è risultato subito urticante al numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann. Secondo il quale, la Bce dovrebbe stare attenta a non alimentare bolle finanziarie con la propria politica monetaria troppo lasca. «La politica monetaria non può abbassare la guardia se la sua posizione solleva rischi a lungo termine per la stabilità dei prezzi attraverso un aumento degli squilibri finanziari», ha commentato Weidmann.
La Lagarde sembra però avere altri progetti per «convertire la seconda maggiore economia del mondo in una economia che è aperta al mondo, ma che ha anche fiducia in se stessa». Ma per poterlo fare si deve prendere atto che il mantenimento di competitività sul lungo termine, dipende da quanto si riesce a investire e a innovare, con un occhio di riguardo alla ricerca e sviluppo e all'istruzione.
Ciò vale anche per le imprese private, dove serve un impulso alla produttività che tenga conto che gli alti tassi di crescita del commercio di una volta «non sono più una certezza assoluta». Soprattutto se l'infinita querelle fra Washington e Pechino, che comincia a inquietare le Borse (-0,31% Milano, in stallo Wall Street), non avrà un lieto fine. Nell'ormai irritante alternanza di messaggi rassicuranti e bellicosi, ieri Trump ha detto che l'accordo è «molto vicino». Però The Donald continua a ficcare il naso a Hong Kong («Grazie a me è stata evitata la sua distruzione»), e questo al Dragone non piace.
Pechino è comunque pronta a incontrare i negoziatori americani, anche se dal presidente Xi Jinping è arrivato un ammonimento: la Cina vuole raggiungere un accordo con gli Usa «basato su rispetto ed eguaglianza», ma è pronta a «vendicarsi» in caso di nuove sanzioni statunitensi.
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