Berlino alza le barricate per difendere le imprese dallo shopping cinese

Prevista la creazione di un fondo pubblico contro le scalate ostili ai settori strategici

Berlino alza le barricate per difendere le imprese dallo shopping cinese

Su le barricate, non passa lo straniero. La Germania dà un'altra virata in direzione opposta rispetto ai principi del libero mercato. Nel mirino c'è soprattutto la Cina e i suoi appetiti espansionistici, ma a essere contrastato è tutto ciò che è privo del marchio di fabbrica made in Deutschland. È con questa logica che ieri il ministro dell'Economia, Peter Altmaier, ha annunciato l'intenzione di creare un fondo pubblico d'investimento il cui scopo sarà quello di difendere le aziende tedesche ritenute strategiche da eventuali scalate ostili straniere. «La sopravvivenza di aziende come Thyssenkrupp, Siemens, Deutsche Bank e le case automobilistiche tedesche è nell'interesse nazionale», ha spiegato Altmaier usando lo stesso linguaggio di Donald Trump, finora accusato da Berlino di cavalcare l'ondata montante del protezionismo.

I tempi, però, cambiano. E una Angela Merkel che nella fase terminale del suo mandato rivela insospettabili venature ambientaliste (rottamazione delle centrali a carbone entro il 2038), sfoggia ora inediti artigli trumpiani per evitare ulteriori scorribande da parte di Pechino. Il documento «Nationale Industriestrategie 2030», in cui è appunto contenuto il progetto per un fondo-scudo che potrebbe assomigliare alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, suona fin dal nome come una risposta al «Made in China 2025», il piano che intende fare dell'ex Impero Celeste il dominus mondiale in ogni campo: dall'intelligenza artificiale alla robotica; dalle ferrovie ai supercomputer; dai nuovi materiali all'aerospazio. D'ora in poi, Berlino metterà subito il naso non appena sentirà odore di takeover sgradito, acquisendo temporaneamente le quote di un'azienda. Niente nazionalizzazione, niente gestione a lungo termine, ha precisato Altmeir, ma solo un'azione difensiva per impedire che le tecnologie chiave vengano vendute e lascino il Paese. Già lo scorso dicembre la Germania aveva varato un decreto che che abbassato dal 25 al 10% del capitale la soglia che permette al governo di bloccare acquisizioni in settori quali l'industria energetica, agro-alimentare, tlc, difesa, finanza e trasporti.

Un giro di vite deciso, a conferma di come il clima in Germania sia cambiato rispetto al 2016, quando la cinese Midea era riuscita a mettere le mani su un'eccellenza come Kuka, leader mondiale nella produzione di robot, spendendo 4,5 miliardi di euro. La classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno: dal 2010 al luglio 2017 erano state 193 le imprese tedesche acquisite o partecipate da investitori cinesi. Con blitz di rilievo come il 10% di Deutsche Bank comprato da Geely, che ne era diventato il maggior azionista.

La nuova svolta protezionistica non piace agli imprenditori («È pericoloso» ha sentenziato l'Ifo), che temono ripercussioni nell'export verso la Cina (merci per 86 miliardi di dollari vendute nel 2018 al Dragone).

Ma il dado è ormai tratto: l'ultima prova è il salvataggio di Nord Lb, banca messa in ginocchio dalla crisi del settore marittimo, con quattrini pubblici (circa 4 miliardi) nonostante l'offerta presentata da Cerberus e Centerbridge.

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