Bernanke: «Pronti ad agire. Ma non ora»

Bernanke: «Pronti ad agire. Ma non ora»

Lo sceriffo ha tenuto la pistola nella fondina. A Jackson Hole, tra i monti del Wyoming, Ben Bernanke decide di non affrontare di petto il nemico numero uno dell'America, la disoccupazione, né di stimolare l'economia nel suo complesso. Resta dunque nel cassetto il sogno dei mercati, ovvero una terza manovra di quantitative easing (l'acquisto di bond Usa), dopo la prima varata nel 2009 in seguito al crac di Lehman Brothers e quella dello scorso anno. C'è solo, da parte del presidente della Federal Reserve, una generica promessa di intervento «se sarà necessario» e «nella misura richiesta dalla situazione». Ciò potrebbe significare uno stacco netto rispetto alle strategie adottate finora: non più un utilizzo illimitato degli strumenti non convenzionali, ma azioni su misura valutate volta per volta in base alle condizioni dei mercati e dell'economia.
Appare, comunque, evidente il condizionamento che Bernanke si è auto-imposto a causa della campagna presidenziale in corso, con il duello tra Obama e Romney che si va surriscaldando proprio sui problemi economici. Obama porta con sé un grave handicap: non ha saputo risanare la piaga dei milioni di americani a spasso. Anzi: la ferita si è allargata. «Non abbiamo visto alcun miglioramento del tasso di disoccupazione da gennaio», ha ammesso Bernanke. Parole che rispecchiano perfettamente la realtà delle cose, ma che politicamente pesano come macigni.
A maggior ragione, la via degli aiuti finanziari immediati non era praticabile perché avrebbe potuto sollevare accuse di favoritismo. Meglio quindi rimandare ogni decisione, considerato pure il trend rialzista di Wall Street da inizio estate, a dopo l'insediamento del prossimo inquilino della Casa Bianca. Il momento è reso oltremodo delicato dal cosiddetto fiscal cliff, ossia il precipizio fiscale, micidiale combinazione di tagli alla spesa e aumenti delle tasse che rischia di far precipitare il Paese in recessione nel 2013 e di far perdere all'America la tripla A, come minacciato da Fitch. Troppe incertezze, insomma, che «forse stanno limitando l'attività», cioè l'intera economia. Così, la Fed invita i politici a darsi una mossa: «È cruciale che attuino un piano credibile per rimettere il bilancio federale su un percorso sostenibile di medio e lungo termine - è la sollecitazione di Bernanke - prestando attenzione a evitare una contrazione fiscale di breve termine che potrebbe mettere a rischio la ripresa».
Ma c'è anche un altro attore in grado di minacciare gli Usa: è l'Eurozona. «Una delle principali fonti di tensioni finanziarie - ha ribadito il leader della Fed - è stata l'incertezza sugli sviluppi in Europa: attraverso i legami commerciali e finanziari globali, gli effetti della situazione europea per l'economia degli Stati Uniti sono significativi». Ad ascoltarlo, c'era in platea Jens Weidmann, capo della tedesca Bundesbank. Assente invece Mario Draghi, che ha preferito disertare l'appuntamento a causa dei troppi impegni. Lo scontro tra i due banchieri si è però arricchito di un nuovo capitolo. La Bild ha rivelato ieri che Weidmann, nelle ultime settimane, ha preso più volte «in seria considerazione» le sue dimissioni in segno di protesta contro il piano anti-spread di Draghi. Solo l'intervento di Berlino l'avrebbe convinto a restare al suo posto. «Angela Merkel sostiene Weidmann, come sempre», ha detto il portavoce del governo tedesco. «No comment», la replica secca dello stesso Weidmann. Reazioni che non convincono.
Non bisognerà aspettare molto per vedere se le tensioni tra il numero uno della Bce e quello della Buba esploderanno: la riunione dell'Eurotower del 6 settembre è alle porte. La linea è ormai tracciata: due giorni prima del summit, il board dell'istituto invierà una lista di proposte sul piano di acquisti di titoli di Stato ai governatori delle banche centrali dei Paesi di Eurolandia. L'appuntamento di giovedì prossimo è atteso con trepidazione dai mercati.

Ieri, anche se Bernanke non ha rispettato le attese, le Borse hanno ripreso a correre (+2% Milano), mentre gli spread sono risaliti: sopra i 450 punti quello tra Btp e Bund, a quota 552 quello dei Bonos malgrado Madrid abbia approvato la riforma del sistema bancario che consacra la creazione della bad bank, in cui confluiranno gli attivi tossici o problematici degli enti finanziari. Forse è però troppo tardi: nei primi sei mesi sono fuggiti dalla Spagna capitali pari a 219,8 miliardi di euro.

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