In fondo, era prevedibile. Pensare che in questo momento i mercati possano trovare un centro di gravità permanente, è un'illusione. Troppe le variabili in grado di condizionare gli investitori, a cominciare dalle incertezze prodotte da una campagna elettorale il cui epilogo appare ora meno scontato rispetto solo a qualche settimana fa. Una certa volatilità, nel bene e nel male, va dunque messa in conto fino a dopo il voto. Considerando anche quei fattori endogeni (per esempio, lo scandalo dei fondi neri in Spagna) in grado di condizionare l'andamento dei listini.
Dopo il tonfo d'inizio settimana e il rimbalzo di martedì, ieri il nervosismo è così tornato a pesare sulle Borse, dove comunque i ribassi sono stati contenuti sotto il punto percentuale con la sola eccezione di Francoforte. Non ha fatto eccezione Milano (-0,65%), dimostratasi resistente nonostante le vendite che hanno colpito il settore bancario e in particolare Mediobanca (-3,86%). Con l'affaire Mps (+1,14%) che tiene sempre banco, a premere sul settore è stata la risalita dello spread Btp-Bund fino a 295 punti, il livello più alto del 2013.
A indurre i mercati alla prudenza è anche l'attesa per la riunione di oggi della Bce. Se dal vertice non sono previste novità sul fronte dei tassi, destinati a restare inchiodati all'1,75%, e se è estremamente improbabile che Mario Draghi voglia commentare le contrapposizioni elettorali Berlusconi-Bersani-Monti, non è invece da escludere che il presidente dell'Eurotower si soffermi, durante la tradizionale conferenza stampa, sul nodo dei cambi. Soprattutto alla luce del «duello al sole» tra Francia e Germania che rischia, tra l'altro, d'invelenire il summit, previsto sempre per oggi, dei capi di Stato e di governo dell'Ue. Una riunione che già si profilava ruvida in quanto le posizioni appaiono ancora distanti sul bilancio pluriennnale dell'Unione europea (la Gran Bretagna e i Paesi del Nord spingono per un taglio al budget), e che ora potrebbe trasformarsi in una corrida proprio a causa delle posizioni che separano Parigi da Berlino.
Ad accendere la miccia, qualche giorno fa, era stato il presidente francese, François Hollande, con la richiesta di «una politica dei cambi» da adottare da parte dei Paesi dell'Eurozona. Parigi sente minacciate le proprie esportazioni dall'apprezzamento della moneta unica. Berlino, no. Per quanto in risalita rispetto ai mesi passati, «l'euro non è sopravvalutato, se si guarda alla media storica», ha detto ieri Steffen Seibert, il portavoce della Cancelliera Angela Merkel. E poi «dal nostro punto di vista la politica dei cambi non è uno strumento per migliorare la competitività - ha aggiunto - . Fornisce solo uno slancio sul breve termine, non consente di raggiungere una crescita a lungo termine della competitività».
Anche se Hollande si è affrettato a precisare che la Bce mantiene la sua indipendenza, è evidente che la questione sollevata sui cambi chiama direttamente in causa l'istituto di Francoforte. Che per indebolire l'euro potrebbe comprare valute straniere e aumentare la liquidità. Mettendo, però, in conto un nuovo scontro, dopo quello sullo scudo anti-spread, con la Bundesbank.
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