L'appello delle fondazioni bancarie contro il ribaltone in Cassa depositi e prestiti non è caduto nel vuoto. Azionisti di minoranza, ma impossibili da ignorare anche per il governo Renzi, tanto che ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha incontrato il presidente dell'Acri Giuseppe Guzzetti. Portavoce ufficiale delle fondazioni, per nulla convinte dalle novità trapelate in questi giorni. In particolare a proposito di un cambio radicale ai vertici della Cassa (la sostituzione del presidente e dell'amministratore con un anno di anticipo) e poi sulla la trasformazione di Cdp in una specie di nuova Iri. Uno strumento per le politiche del governo.
Mercoledì le fondazioni avevano ribadito la fiducia nei confronti del presidente Franco Bassanini. Al suo posto Palazzo Chigi vorrebbe mettere Claudio Costamagna, manager milanese con un passato a Goldman Sachs e una formazione europea. Dal ministero dell'Economia, azionista per l'80,1%, è uscita l'indiscrezione che lo stesso Padoan ha chiesto all'amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini di dimettersi. Voce che non è stata smentita. Secondo i piani, dovrebbe essere sostituito da Fabio Gallia. Ma Gallia è stato appena rinviato a giudizio per l'inchiesta di Trani sui derivati. Il che ha complicato l'operazione. Per poter procedere potrebbe servire una modifica dello statuto di Cdp. Niente invece su Bassanini, ma la decisione potrebbe essere solo rinviata. Dalle Casse sarebbe arrivata la richiesta di un maggior coinvolgimento sulla mission della nuova Cdp, sulla scelta dei nuovi vertici. E, pare, anche un membro in più nel cda (oggi 6 membri sono nominati dal Mef, 3 dagli enti). Le 64 casse di risparmio rappresentano il 18,4% del capitale e devono indicare, per statuto, il presidente.
Il piano è stato messo in piedi da Andrea Guerra, consulente di Matteo Renzi per le politiche industriali. Quindi porta la firma di Palazzo Chigi, più che di via XX settembre. L'obiettivo è dare al governo uno strumento per le politiche di sviluppo. Meno autonomo, su alcune scelte strategiche su banda larga e tlc.
Ma non è escluso che le banche siano riuscite a ridimensionare i progetti di Guerra e Renzi anche sulla mission di Cdp. Ieri Federico Ghizzoni, amministratore delegato di UniCredit si è unito al coro dei contrari. «Si sentono dire molte cose» su Cdp come «riforma, fusione a due o a tre, vediamo che cosa verrà deciso. L'importante è che non si torni a modelli del passato, del tipo vecchia Iri».Il timore è che si vada verso una «situazione di interventi dirigistici sull'economia» che sarebbe «abbastanza in contrasto con il libero mercato».
Importante è sottolineare come «nei Paesi dove le cose funzionano bene, come Germania e Francia, queste istituzioni devono supportare a costo zero l'economia, non devono generare perdite perchè sarebbe molto grave ma anche non diventare equivalenti a società private che lavorano a fini di lucro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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