Nessun ritorno dello «statalismo» su Telecom Italia. Si difende così, con un «cinguettio» su Twitter il ministro dello Sviluppo economico uscente Carlo Calenda di fronte alle contestazioni di chi vede nella manovra della Cassa Depositi e Prestiti su Tim il ritorno della forte presa governativa sulle imprese private.
La Cdp ha formalizzato la volontà di rilevare fino al 5% del capitale di Tim nel pieno della battaglia sull'ex monopolista tlc. Sui due fronti sono schierati il fondo attivista Elliott di Paul Singer che ha ufficialmente il 5% del capitale (il doppio, secondo le secondo le indiscrezioni di Borsa) e la Vivendi di Vincent Bollorè (al 23,9%) che, dopo un avvio burrascoso dei rapporti con le autorità italiane, sperava di poter ripartire con il piede giusto grazie al piano dell'ad Amos Genish.
«Cdp non sta assumendo il controllo di Tim. Ma Tim possiede un asset di interesse pubblico, la rete, che è giusto presidiare perché le ultime proprietà non sono state precisamente impeccabili», ha commentato Calenda per poi aggiungere: «Nessuno sta mettendo lo Stato da nessuna parte, ma supportando un progetto che prevede una pubblic company, sogno proibito di ogni liberista ben educato». Il governo aveva peraltro già fatto ricorso al golden power.
Ma le precisazioni non hanno raffreddato gli animi. A sollevare il tema sul web è stato Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore in Bocconi: «Una decisione interventista, che ribalta in poche ore una linea politica ventennale, merita una spiegazione articolata. Nel metodo oltre che nel merito». Carlo Cottarelli, a capo dell'Osservatorio dei Conti Pubblici, si è detto preoccupato della possibilità «che si ricreino le partecipazioni statali». E il Codacons ha presentato un esposto a Consob, Corte dei Conti e Procura di Roma chiedendo di bloccare l'operazione e ipotizzando «una forma di insider trading e un danno erariale». Dopo l'annuncio di Cdp, il titolo Tim ha strappato: solo venerdì il balzo è stato del 6,9% (con l'1,7% del capitale scambiato). Rally che potrebbe proseguire visto che Cdp ha tempo per comprare solo fino al 13 aprile se vuole votare all'assemblea del 24.
I prossimi giorni comunque saranno bollenti. Donani è atteso il cda «per discutere delle eventuali azioni a valle della decisione del collegio sindacale di integrare l'agenda dei lavori dell'assemblea del 24 aprile», con la richiesta di Elliott di revocare i cinque consiglieri targati Vivendi (da Genish al presidente Arnauld de Puyfontaine). La decisione dei sindaci tuttavia è invisa a Vivendi che, in seguito alle dimissioni di sette consiglieri, punta all'elezione di un nuovo cda con l'assemblea del 4 maggio (per presentare le liste c'è tempo fino al 9 aprile).
Molti i punti interrogativi, anche legali, dello scontro in atto tra Elliott e Vivendi ma quel che è certo è che, mai come questa volta, a decidere la sorte di Telecom saranno gli oltre 480mila azionisti iscritti nel libro soci. Per mandare i francesi in minoranza basterebbe probabilmente poco più del 24% del capitale, considerando che la presenza nelle ultime assemblee non ha mai superato il 58% del capitale.
Se Elliott salisse davvero al 10% e Cdp si alleasse con gli americani, per disarcionare Vivendi basterebbe convincere un ulteriore 10% del capitale tra i privati (al 13,2% del capitale), i fondi italiani (al 3,8%) e i fondi stranieri (57,9%).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.