Il Pil cinese cresce ai ritmi più bassi da 27 anni e il presidente americano Donald Trump esulta: «Si vede che nostri dazi funzionano». Secondo i dati diffusi ieri la Cina ha riportato nel secondo trimestre dell'anno la crescita più bassa in 27 anni dall'ormai remoto 1992, con il Pil cresciuto «solo» del 6,2% su base annua, in linea con le attese del consensus, ma inferiore al +6,4% del primo trimestre del 2019. Il dato era atteso, compreso nella forchetta prefissata per l'anno in corso (+6-6,5%). Per la casa Bianca è un trionfo. In un tweet si sottolinea che «i dazi degli Stati Uniti stanno avendo un effetto significativo sulle società che vogliono lasciare la Cina per paesi esenti. Migliaia di aziende se ne stanno andando. Questo è il motivo per cui la Cina vuole fare un accordo con gli Stati Uniti. Nel frattempo, stiamo ricevendo miliardi di dollari in dazi dalla Cina stessa».
A compensare la frenata del Pil ci sono però una serie di altri dati macro economici. Nel mese di giugno la produzione industriale è salita su base annua del 6,3%, più del +5,2% atteso, e in miglioramento rispetto al +5% di maggio, che aveva rappresentato la crescita minima in 17 anni. Inoltre dall'inizio dell'anno, il dato è salito del 6% su base annua, rispetto al +5,9% atteso e al precedente +6%. In crescita anche l'andamento delle vendite al dettaglio salite del 9,8% su base annua, facendo decisamente meglio del +8,5% atteso dal consensus e rispetto anche al +8,6% di maggio. Resta il fatto che è il dato più basso dal 1992.
Ventisette anni fa nel Vecchio Continente entrava in vigore il trattato di Maastricht che trasformava la Cee in Unione Europea con parametri economici rigidi da rispettare proprio in un momento in cui tra la svalutazione della lira e l'uscita dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo, il Paese navigava a vista sull'orlo della bancarotta. Il baratro fu evitato all'ultimo solo «grazie» a una manovra lacrime e sangue voluta da Giuliano Amato e con la privatizzazione di Iri, Enel, Ina ed Eni. Pechino nel frattempo si avviava verso una politica di mercato. Deng Xiaoping, con il suo «viaggio a sud» e le decisioni politiche assunte dal 14° congresso del Pcc, lasciava infatti alle spalle il socialismo, avviando le riforme verso una economia capitalistica: proprio nel 1992 è stata aperta la via alle privatizzazioni delle piccole e medie imprese. Senza l'apertura del '92 non ci sarebbe stata in Cina la riforma fiscale, la deregolamentazione del mercato del lavoro e la spinta agli investimenti che hanno portato Pechino a diventare la potenza economica di oggi. Nel 1992 il Pil cinese ammontava a 495 miliardi di dollari (pari a 423 dollari pro capite) rispetto, ad esempio, ai 6539 miliardi del Pil Usa, oggi la distanza tra Pechino e Washington si è ridotta notevolmente: il Pil cinese vale 13.407 miliardi di dollari (9627 pro capite), rispetto ai 19.390 miliardi degli Usa. In aumento anche il debito (salito da 21 dollari a 4062 dollari pro capite), mentre il rapporto tra debito e Pil si attesta al 50% (dal 5%), il deficit di bilancio al 3,9% (dall'1,2%) e l'inflazione sale a un ritmo pari al 2,7% all'anno.
Quanto all'Italia in 27 anni il Pil è quasi raddoppiato passando da 1236 miliardi di dollari
(23.120 pro capite) a 2073 miliardi di dollari (pari a 34.288 pro capite), è però aumentato anche il debito pubblico salito da 25.330 dollari a 45.338 dollari e, in rapporto al Pil, dal 109,5% all'attuale 132,5 per cento.
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