La commedia dei giudici contro gli Aleotti

Quando si parla di evasione fiscale quel che conta è solo l'effetto annuncio. Le misure cautelari sono rapide ed incisive, i giornali titolano cifre mostruose di sequestri e ipotesi di reato. E poi come finisce? Dopo cinque anni, al più presto, arriva un'assoluzione. Ma a quel punto il danno è fatto. E lo sputtanamento pure.
Nell'immaginario collettivo si fissa l'indagine preliminare, non la sentenza definitiva. Esageriamo? Sentite la storia della famiglia Aleotti (nella foto, Lucia Aleotti), proprietaria di uno dei gruppi farmaceutici più importanti del Paese. E che secondo la cronaca degli ultimi 5 anni, era formata da malfattori. Senonché una sentenza della Cassazione di due giorni fa, dopo cinque anni di fango, li ha tirati fuori. La storia è complessa, ma dovete avere pazienza e ingurgitare un protettore per lo stomaco.
Nel 2008 parte un'indagine della Procura di Firenze per una presunta truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale che si sarebbe consumata nel 1984 (avete letto bene). La fase delle indagini preliminari si conclude solo quest'anno e la prima udienza sul merito della vicenda ci sarà tra pochi giorni. Ma nel frattempo è successo di tutto ai danni degli Aleotti. Con la bellezza di quattro giudizi da parte del Tribunale di Firenze e tre in Cassazione.
Dopo due anni dall'avvio delle indagini la Procura, sempre in fase di indagini preliminari come è permesso dalle nostre leggi, chiede il sequestro di 1,2 miliardi di euro che la famiglia aveva scudato. E già che c'era chiede anche il commissariamento dell'azienda. Il tribunale respinge il commissariamento, ma accetta il «sequestro per equivalente».
Il capostipite della famiglia, comprensibilmente spaventato, accetta di fare una transazione con l'Agenzia delle entrate (sia chiaro lo scudo fiscale del 2003 prevedeva il rimpatrio di somme e la garanzia della loro intangibilità per illegittimità fiscali) da 300 milioni di euro. È convinto delle sue ragioni, ma teme che gli scippino il gruppo. Inoltre ricorre in Cassazione contro il sequestro di 1,2 miliardi e ottiene la riduzione del medesimo a circa 80 milioni di euro. Pochi giorni dopo questa sentenza della Cassazione, la medesima Procura di Firenze dispone un nuovo sequestro per circa 1,1 miliardi di euro. Non più un sequestro per equivalente, ma un sequestro diretto (insomma formulette giuridiche che però, nella sostanza, non cambiano gli effetti).
Nuova ondata di fango sugli Aleotti: secondo sequestro, ulteriori miliardi. Insomma la banda Bassotti. La famiglia ricorre e ottiene ragione dal Tribunale della Libertà che sostiene che non si possa procedere a due sequestri per la medesima ipotesi di reato. Siamo ormai nel 2012 e la Procura non ci sta. Ricorre in Cassazione. La quale dà ragione un po' agli uni e un po' agli altri. Dice che il secondo sequestro si può fare, ma che nel merito è il Tribunale che deve decidere se ci siano i presupposti. Come in un tragico gioco dell'oca nel febbraio del 2013, per l'ennesima volta, il Tribunale della Libertà dice che non ci sono i presupposti per fare quel sequestro. E la Procura cosa fa? Ricorre. Finalmente due giorni fa la Cassazione stabilisce che quel sequestro non si poteva fare.
Se qualcuno è riuscito a seguirci fino a qua, ha capito la morale. Il processo per un'ipotesi di truffa di trenta anni fa inizia tra qualche settimana per accertare se c'è effettivamente stata.

Ma nel frattempo, cioè negli ultimi cinque anni, la Procura di Firenze ha provato invano a sequestrare per due volte 1,2 miliardi e a commissariare una delle nostre poche eccellenze farmaceutiche.
E poi in Confindustria fanno i convegni per capire i motivi per cui non si investe in Italia.

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