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L'ombra della speculazione sul Made in Italy: l'allarme sui gruppi stranieri

L'allarme del presidente di Coldiretti, Ettore Prandini: "Se non si interviene subito un'impresa su 10 rischia di chiudere. Così si aprono le porte alla speculazione da parte dei gruppi stranieri"

L'ombra della speculazione sul Made in Italy: l'allarme sui gruppi stranieri

Un’azienda agricola su dieci rischia di chiudere per effetto dell’aumento dei prezzi di energia e materie prime. Rincari che colpiscono tutta la filiera agroalimentare e che, secondo il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, rischiano di produrre un vero e proprio "crack alimentare, economico e occupazionale", capace di mettere a rischio un settore, quello delle eccellenze Made in Italy, che "dai campi alla tavola" vale 575 miliardi di euro, cioè quasi un quarto del nostro Pil.

I rincari che pesano sul bilancio delle aziende agricole non riguardano soltanto la bolletta energetica. I concimi hanno fatto registrare aumenti del +170 per cento, i mangimi del 90 per cento, il gasolio del 129 per cento, e anche l’acqua per irrigare i raccolti costa fino al 300 per cento in più. Il prezzo del vetro è cresciuto di oltre il 30 per cento, quello del tetrapack del 15, le etichette sono aumentate del 35 per cento, il cartone del 45, i barattoli di banda stagnata del 60, fino ad arrivare al +70 per cento della plastica. E la tempesta perfetta si è abbattuta sull’Italia proprio nei mesi in cui si concentrano le produzioni tipiche del Made in Italy: vino, olio, conserve, passate.

"C’è preoccupazione per la tenuta delle aziende in forte difficoltà, che al momento sono il 13 per cento del totale", spiega il rappresentante dei produttori al Giornale.it. Tra i settori più colpiti c’è quello zootecnico, ma anche vitivinicolo, olivicolo e della trasformazione del pomodoro. "Oggi gli imprenditori devono fare i conti con aumenti che arrivano fino al 500 per cento in più rispetto ad un anno fa. Se questa situazione dovesse durare ancora qualche mese, - mette in guardia Prandini - l’agroalimentare italiano sarà inevitabilmente esposto a speculazioni da parte di soggetti esteri".

Finora, infatti, l’esplosione dei costi è stata assorbita direttamente dalla filiera senza ripercuotersi sul prodotto che arriva sugli scaffali dei supermercati. Ma non si può andare avanti così all’infinito, è il ragionamento dei rappresentanti di categoria. E il pericolo è che le nostre imprese in difficoltà possano essere rilevate da gruppi stranieri che, anche grazie al sostegno del proprio sistema Paese, stanno resistendo bene alle conseguenze della crisi e puntano a fare incetta di aziende italiane. "È già successo in passato e dobbiamo evitare che accada di nuovo, – avverte il presidente di Coldiretti – anche perché significa indebolire un settore strategico e privare lo Stato di risorse, visto che le tasse, questi soggetti, le pagano altrove".

L’errore di valutazione commesso finora, secondo Prandini, è stato quello di dare priorità alla tutela delle imprese energivore. "La produzione agricola e alimentare – osserva - assorbono oltre l’11 per cento dei consumi energetici industriali totali, soprattutto calore ed elettricità, per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti, il funzionamento delle macchine e la climatizzazione degli ambienti, e rappresentano un settore altrettanto strategico". "Per questo – va avanti – serve un intervento immediato da parte del governo, a maggior ragione davanti all’assenza di una politica comune europea, vittima dei soliti egoismi da parte di alcuni Stati, come Germania ed Olanda".

La proposta del presidente di Coldiretti è quella di mettere un tetto al prezzo del gas: "In Spagna e Francia sono già riusciti a farlo a livello nazionale, e questo si tradurrà nei prossimi mesi in una maggiore competitività delle imprese di questi Paesi rispetto alle nostre". Gli interventi invocati dall’associazione riguardano anche l’Iva e i crediti d’imposta.

"Sicuramente – avverte Prandini - stare fermi e continuare a rinviare il problema significa condannare migliaia di aziende, mettendo a repentaglio la nostra autonomia alimentare. Se non ci saranno scelte condivise in Europa e un intervento deciso da parte del governo il nostro Paese è quello che rischia di più, anche considerando la situazione del debito pubblico italiano".

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