La recessione tecnica, quella certificata da due trimestri consecutivi di crescita negativa, è stata per ora scongiurata. Ma Eurolandia sembra ormai aver esaurito anche l'ultimo bonus, dopo aver incassato nel secondo trimestre un calo del Pil dello 0,2% (tra gennaio e marzo la crescita è stata zero), il primo segno negativo dal 2010, cioè dall'onda lunga della grande crisi iniziata negli Usa e culminata con il disastro di Lehman Brothers. Per scivolare dall'altra parte ci vuole ben poco. È sufficiente che venga meno la tenuta della Germania, che si dissolva anche quel +0,3% di mini-espansione (per la verità non del tutto previsto) registrato da aprile a giugno su cui ieri le Borse hanno costruito rialzi di poco inferiori al punto percentuale (+0,85% Milano).
In realtà, anche la locomotiva tedesca è da almeno dal quarto trimestre dello scorso anno in bilico, sfiancata dal progressivo rallentamento della crescita globale che ne condiziona le esportazioni, ma soprattutto dai venti di recessione che soffiano forti in Europa, lì dove l'Italia ha accusato nel secondo trimestre un calo del Pil dello 0,7% (-0,8% nel primo) unito a un terrificante tracollo della produzione industriale, pari all'8,2% su base annua (-1,4% mensile), l'andamento peggiore del Vecchio continente. Il male è però diffuso: nell'euro zona la produzione è scesa del 2,1%, con ben otto dei 17 Paesi che la compongono che soffrono di un saldo negativo.
Queste cifre mostrano come l'Europa si stia muovendo ancora a due velocità. Una spaccatura che divide i Paesi sottoposti a misure di forte austerity, con inevitabile impatto sulla crescita e sui consumi, da quelli con i conti più virtuosi, meno soggetti a manovre di risanamento e dunque con maggiori margini a disposizione per attuare politiche di tipo più espansivo. Anche se un Paese con i conti in ordine come la Finlandia è finito in profondo rosso (-1% il Pil), a dimostrazione che la crisi del debito comincia ad avere un pesante impatto quasi ovunque e che l'appuntamento con la recessione tecnica è forse solo rimandato a dopo l'estate. La Bundesbank si attende infatti un indebolimento della crescita nel secondo semestre, mentre Joerg Kraemer, economista di Kommerzbank, spiega che quelli di ieri potrebbero essere «gli ultimi dati positivi per un po' di tempo» e che «l'economia tedesca potrebbe contrarsi nell'estate».
Già nei prossimi mesi la lista nera dei Paesi in recessione rischia di allungarsi. La stessa Francia, che da tre trimestri evita la recessione solo perchè mantiene una crescita zero, potrebbe presto finire dall'altra parte. La Banque de France ha già messo in conto una crescita negativa nel terzo trimestre.
Molto dipenderà dall'evoluzione della crisi del debito. «Stiamo lavorando duramente per superarla - ha detto il commissario Olli Rehn - . Il prossimo autunno, in ottobre o prima, ci sarà una proposta legislativa sulla supervisione delle banche e delle istituzioni finanziarie nell'euro zona». Una schiarita sul fronte della crisi è arrivata dalla Corte costituzionale tedesca che - ha spiegato un portavoce - non vede ragioni per rinviare il suo verdetto sul fondo salva-Stati oltre il 12 settembre. E così il ricorso di un gruppo di accademici non potrà bloccare l'atteso via libera dei giudici di Karlsruhe all'Esm, indispensabile per potenziare il firewall anti-speculazione e per far partire anche il contributo anti-spread della Bce. Un'ipotesi a cui le Borse non hanno comunque dato credito. Lo spread Btp-Bund ha chiuso a quota 440 punti, con i rendimenti sul decennale scesi al 5,93%. Mercati azionari e differenziali di rendimento hanno dunque passato indenni la boa di metà agosto.
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