Sul siluramento di Enrico Tommaso Cucchiani da Intesa Sanpaolo ne stanno girando di tutti i colori. Un finanziere romano con il gusto della battuta dice: «Bazoli e Guzzetti (i due azionisti forti, nda) pensavano di aver assunto un pretino, si sono trovati un massone». Figurarsi. Cucchiani non è né l'uno né l'altro. Ha un curriculum di tutto rispetto, proviene dai vertici della tedesca Allianz. La più importante assicurazione del mondo. E con Giuseppe Vita (presidente di Unicredit) e Mario Greco (super boss delle Generali) rappresentava il trittico tedesco (tutto con targa Allianz) della finanza italiana. Si dice che Cucchiani abbia pagato qualche battuta di troppo fatta sulla questione Zalesky (l'ultima al Forum di Cernobbio), il finanziere amico di Bazoli e le cui speculazioni azionarie sono costate circa un miliardo in minusvalenze per la sola Intesa Sanpaolo. Oppure la difesa a oltranza di Franco Bernabè, in Telecom, e l'asse con John Elkann, in Rcs.
Ognuna di queste storie rappresenta una piccola verità. Ma nessuna sarebbe stata sufficiente a far fuori Cucchiani (a pochi mesi dalla sua riconferma) se la struttura, la squadra operativa della Banca non avesse sbuffato sul «banchiere assente». Se preferite possiamo metterla diversamente: gli azionisti avrebbero fatto molta più fatica a dimissionare Cucchiani se il consigliere delegato avesse conquistato la banca.
All'inizio della prossima settimana i consigli degli azionisti nomineranno Carlo Messina, attuale direttore generale, consigliere delegato. Si prenderanno più tempo per trovare l'ennesimo capo della Banca dei territori: il cuore di Intesa, con 60mila dipendenti e 5.550 filiali, e che negli ultimi due anni ha visto avvicendarsi tre responsabili, compreso proprio Messina.
Insomma, Cucchiani perde il suo posto di lavoro, per il banale motivo che gli stessi azionisti che oggi lo rinnegano, si sono ora accorti di aver sbagliato due anni fa a sceglierlo. Cucchiani è un ottimo presidente, uomo di relazioni, di visioni macroeconomiche. Ma non è, come dicono in banca, un operativo; non è un consigliere delegato. Che poi è il titolo che è scritto sul suo biglietto da visita.
In una banca che ha la bellezza di diciannove membri del consiglio di sorveglianza e dieci consiglieri di gestione, quello che serve è un uomo macchina. Un capo che si sporchi le mani con l'operatività quotidiana del gruppo. Non esattamente il profilo di Cucchiani. Negli ultimi mesi aveva costituito un pletorico management committee di una trentina di persone per dare il senso di un maggiore interessamento al business. Acqua fresca: troppa gente e poca operatività. Il suo ufficio per di più era strutturato con una folta pattuglia di uomini di staff: un intralcio in una banca in cui gli affari si devono gestire con tre, quattro strutture ben delineate e che debbono riportare direttamente, senza filtri, al capo azienda. Il corpaccione della banca non ha mai digerito un consigliere delegato (per di più erede del super organizzato Corrado Passera) che facesse il presidente. Senza, nel contempo, lasciare un'ampia delega agli uomini della banca.
Soprattutto dalle strutture operative (Micheli e Messina) deve essere arrivato, in questi mesi, il grido di dolore ai rispettivi punti di riferimento azionari. Non si può continuare più così. Si volta dunque nuovamente pagina. Ma c'è un grande ma.
Il siluramento di un manager, per di più in posizioni così apicali, non si digerisce in un secondo. Proprio Cucchiani, dopo aver licenziato il capo del retail (Morelli) tenne a bagnomaria per sei mesi il suo successore (Castagna) per poi, dopo pochi mesi, far fuori Castagna in una sorta di gioco dell'oca del management. Ora sorte simile capita a lui. Ma gli azionisti che solo pochi mesi fa hanno confermato il consigliere delegato credete veramente che non subiscano una ferita, se non altro di credibilità, nel prossimo futuro? Il caso Generali (Geronzi-Perissinotto) insegna. Il licenziamento facile può essere indispensabile, ma le sue conseguenze sono imprevedibili.
Ps. Un po' di romanticismo in questa buia stagione di finanza, licenziamenti e crisi. Fabrizio Lombardo, ex Miramax, organizza un torneo speciale di golf all'Acquasanta. Proprio oggi un centinaio di persone si sfideranno sui green dell'Appia.
Una delle tante gare? Mica tanto.
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