Derivati, banche ed enti locali: a Milano una sentenza storica

Nell'inchiesta del pm Robledo nessun pregiudizio anti-mercato: gli istituti condannati vendevano al Comune prodotti complessi a prezzi ingiustificati

Derivati, banche ed enti locali: a Milano una sentenza storica

Alfredo Robledo le ha azzeccate tutte. È il pm che ha ottenuto la condanna di quattro banche che avevano venduto derivati al Comune di Milano. E che il giudice Oscar Magi ha condannato ad una pesante confisca e a pene tra i sei e gli otto mesi «per la truffa ai danni del Comune di Milano». La questione è solo apparentemente tecnica, ma riguarda l'amministrazione della giustizia in senso più ampio. Chi scrive questa zuppa anni fa fece una serie di inchieste giornalistiche proprio sui derivati piazzati da banche internazionali agli enti locali italiani. In un caso ci beccammo una querela perché scrivemmo in anticipo chi sarebbero stati i vincitori per un importante swap (derivato) della Regione Piemonte: tutte e tre le banche in effetti presero il mandato. L'impazzimento sui derivati nasce da un motivo molto semplice: sono strumenti molto complicati e il cui prezzo è del tutto opaco.
Gli enti locali grazie a questi strumenti sulla carta potevano ridurre il costo degli interessi sul debito. Ma si trattava, per la maggior parte dei casi, di illusione ottica. Spesso non si faceva altro che spostare più in là (dopo la fine della legislatura) il peso del debito e in alcuni casi si è riuscito a «swappare» (traslare) anche la quota di capitale: insomma i debiti fatti oggi si pagavano dopodomani. All'interesse dei Comuni, ha corrisposto quello di grandi e blasonate banche d'affari internazionali. Le più pure, le più sane e le più belle del mondo. Tra le più attive Merrill Lynch. I suoi banchieri avevano sul tavolo i principi della nobile istituzione: Client Focus, Respect the individual, Teamwork, Responsible citizenship, Integrity. Non c'è bisogno di tradurre: tutte balle. In Italia avevano utilizzato una famosa boutique napoletana (dei fratelli Pavesi, che per la verità sono stati consulenti di numerose banche straniere) per vendere derivati in tutti gli enti locali. Una banca giapponese organizzava meeting esclusivi in chalet di montagna e in club inglesi, per oscuri funzionari e assessori regionali.
Ci siamo dovuti scusare con Ubs (condannata grazie a Robledo) perché ci eravamo permessi di dubitare sull'opportunità di utilizzare il figlio di Bassolino nel desk che si occupava di derivati. Alcuni dei quali piazzati proprio a Napoli. Queste banche mettevano azioni rischiosissime in fondi che avrebbero dovuto essere più o meno di garanzia (sinking fund) e in alcuni casi (Acquedotto pugliese) sono andate in default.
Dire che la sentenza di Milano è storica sembra retorico. E può apparire una nostra rivincita. Ma di questo si tratta. Il pm ha avuto l'enorme saggezza di colpire il reato, senza fare il gradasso. Ha studiato, basta leggere le carte, prima di intervenire. Conosce i principi contabili anglosassoni (i contratti sono tutti inglesi) meglio della Consob londinese. Ha capito che la chiave di volta era l'asimmetria informativa: e cioè la banca applicava al Comune un prezzo decisamente superiore a quello del mercato. In parole povere truffava la controparte. Su contratti complicati come i derivati e gli swap non è banale. Non si trovano mica le quotazioni sul Sole24ore. Proprio su questa opacità si reggeva la forza di molte banche straniere in Italia: vendere una merce ad un prezzo superiore al mercato. Altro che «Integrity». Ha ragione Robledo quando dice che «l'Italia è stata terra di scorribande».
Non c'è nessuna furia antimercato nell'operazione del pm milanese e del giudice Magi. Al contrario il mercato si tutela se i prezzi sono trasparenti e le scelte sono fatte a parità di informazione. Agli enti locali italiani (in parte consapevoli in parte no) sono stati venduti miliardi di derivati drogati e fuori da ogni regola. E con la sentenza di Milano si traccia una strada che potrà essere seguita in molti altri casi. Infine una coraggiosa presa di distanza da uno dei più ascoltati giuristi italiani, Guido Rossi.

Il professore in una consulenza fatta ad hoc per Jp Morgan, una delle banche condannate, scrive (pagina 25 del parere): «In sintesi... risulta improprio, ma oserei dire scorretto, parlare di conflitto di interesse dell'operatore abilitato». E Robledo secco: «Non credo sia lo stesso Guido Rossi che scrive di etica poi sui giornali».

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