Altra grana per Deutsche Bank che, messa sotto pressione dalle istituzioni europee si trova a dove gestire un trasloco da Londra a Francoforte per un massimo di 600 miliardi di attività e 8mila impiegati in vista della Brexit. Dopo le indiscrezioni trapelate sulla stampa anglosassone nel fine settimana, ieri l'istituto di Francoforte ha confermato le grandi manovre in corso pur non entrando nei singoli dettagli legali e finanziari, nè specificando le dimensioni dell'operazione. A Londra è allarme rosso. Il rischio infatti è che Deutsche Bank sia un apripista per una fuga di capitali e impiegati bancari verso il Continente. D'altro canto la Bce è in allerta per evitare che l'attività di investimento rimanga concentrata nella City, trasformando le banche europee in semplici scatole vuote, prive di capitale, risk management e strutture di gestione, quando a marzo dell'anno prossimo la Gran Bretagna uscirà ufficialmente dall'Unione Europea.
Per Deutsche Bank significa un oneroso problema in più da gestire in un momento quanto mai delicato per il gruppo che sta da tempo cercando di uscire dal tunnel senza tuttavia riuscirci sommersa da una montagna di derivati, con l'azionista principale (al 7,6% del capitale), il conglomerato cinese Hna, in uscita e un riassetto azionario ancora da decidere, cause legali in corso, stress test da ripetere per la filiale Usa e conti tutt'altro che entusiasmanti: per il terzo anno consecutivo, il 2017 si è chiuso in profondo rosso con una perdita dopo le tasse di 735 milioni di euro. Senza considerare poi che, pochi giorni fa, la società è stata esclusa dall'Eurostoxx 50, l'indice delle società più rappresentative in Europa, a causa della capitalizzazione praticamente volatilizzata negli ultimi anni.
Il titolo, che ieri ha chiuso la seduta a 9,86 euro (in rialzo dello 0,7%), perde da gennaio poco meno del 40% e tratta a un decimo dei valori del 2007.
Due anni fa l'Fmi aveva parlato di Db come del maggior rischio sistemico in Europa e, nonostante la ristrutturazione in atto, per molti esperti è ancora così. Il credit default swap (cds) a cinque anni, che prezza il rischio di default, è raddoppiato da inizio anno, salendo a 120 punti base da 65. La soluzione per Berlino è quella di spingere l'istituto a un matrimonio con Commerzbank, salvato dal default nel 2008 proprio dal Reichstag che mantiene il 15,5% del capitale a un prezzo di carico di 18 euro, la metà degli attuali livelli di negoziazione in Borsa. Con 1,9 miliardi di ricavi aggregati, la fusione fra le due banche tedesche porterebbe al terzo maggiore polo in Europa, dopo Hsbc e Bnp. Ma per molti esperti non si tratterebbe della migliore strada da percorrere.
Il magazine tedesco Spiegel lo ha già definito «un matrimonio dettato dalla paura davanti alla morte», il che spiegherebbe la discesa in campo di Berlino e l'accelerazione delle grandi manovre a cui si sta assistendo in questi ultimi giorni. Martin Zieke, ad di Commerzbank, sarebbe pronto a dare subito il via ai lavori, mentre Christian Sewing, neo ad di Deutshce Bank, subentrato al vertice la scorsa primavera a Jonh Cryan, vorrebbe prima realizzare la piena integrazione di Postbank e il taglio dei costi già preannunciato.
Infine, alcuni investitori istituzionali di Deutsche Bank, guidati da Hermes Eos, sono sul piede di guerra: in una recente lettera al consiglio di amministrazione, hanno chiesto la sostituzione alla presidenza di Paul Achleitner, al vertice del gruppo dal 2012.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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