Se si esclude il lungo braccio di ferro sullo scudo anti-spread, forse mai come ora Mario Draghi ha sentito su di sé la pressione tedesca. Il recente taglio di un quarto di punto dei tassi, mal digerito dalla Bundesbank per il timing scelto, ha provocato in Germania soprattutto le reazioni contrarie di economisti e stampa. «Un danno per la nostra economia», la sintesi delle accuse. Rispedite ieri al mittente dal presidente della Bce durante un convegno a Berlino. «È seria la preoccupazione che i bassi tassi danneggiano i nostri risparmi, e su certe basi è vero. Ma nello spiegarlo non possiamo guardare ai risparmi come a una voce isolata, dobbiamo considerare anche lo stato dell'economia. E i tassi sono bassi proprio a causa dello stato» di debolezza economica. Al contrario, ha spiegato l'ex governatore di Bankitalia, un giro di vite alla politica monetaria sarebbe deleterio per il sistema, perché finirebbe per rallentare l'economia e porterebbe a un aumento della disoccupazione e a una caduta degli investimenti. Dunque, «penso sia sbagliato criticare la decisione della Bce asserendo che ha danneggiato i risparmiatori in Germania». Semmai «con la ripresa anche i tassi sui risparmi risaliranno».
L'idea poi che l'Eurotower possa agire con l'intento di favorire alcuni Paesi viene considerata «profondamente scorretta». Alla Bce «non siamo tedeschi, francesi, spagnoli o italiani: ma europei, e operiamo nell'interesse di tutti». Più volte, anche di recente, la Bce è stata tacciata di essere una sorta di dependance di Bankitalia, pronta ad assecondare ogni desiderata della Penisola. «Abbiamo bisogno di una politica monetaria per 17 Stati - è stata la risposta del numero uno della Banca centrale - che è diversa da quella per un Paese solo». Non è quindi il momento delle divisioni, ma semmai di avere un'Eurozona ancor più coesa e capace di muoversi con l'obiettivo di ottenere «un ambiente macroeconomico stabile, riforme strutturali che aiutino la crescita e un settore bancario sano». La seconda condizione non appare però, agli occhi di più di un osservatore, ancora soddisfacente. Troppe esitazioni, troppe lentezze, troppo timore di scardinare meccanismi sedimentati. Draghi ha una sua ricetta per accelerare il processo: «Se siamo insoddisfatti del passo delle riforme strutturali in alcuni Paesi forse è venuto il momento di metterle sotto gestione europea, farle gestire da Bruxelles con un controllo europeo e con una disciplina comune».
Un'idea che, con buona probabilità, farà però storcere il naso a chi teme una perdita di sovranità nazionale. Ma nella visione unitaria di Draghi «la risposta ai problemi dell'Eurozona non può essere quella di voler indebolire le sue economie più forti. Piuttosto, è necessario rafforzare le economie più deboli». La Germania, ha ricordato, è «un buon esempio di come si possa fare solide basi alla crescita». Il Paese «ha imprese competitive e innovative, il cosiddetto Mittelstand, che è integrato in processi globali di generazione di valore, e questo limita l'impatto del rallentamento economico sui giovani». Un traguardo raggiunto anche grazie alle parti sociali, cui va riconosciuto il merito di essere «riuscite a capire la necessità di adeguare i modelli di business all'economia globalizzata».
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