«Annunceremo un nuovo piano prima della fine del 2019, che valuterà le opzioni, che potranno essere di crescita organica o potenzialmente anche non organica, vedremo». Nel linguaggio quasi militaresco dell'ad, Jean Pierre Mustier, significa che dalla fine del prossimo anno Unicredit potrà cominciare a muoversi sul mercato a caccia di possibili prede riaccendendo il risiko bancario. La Borsa ha subito brindato: il titolo ha chiuso la seduta di ieri con un rialzo del 2,8% a 14,8 euro.
Presentando i risultati del semestre agli analisti, il banchiere francese ha poi specificato che a livello di sistema «la probabilità di una operazione cross border è molto bassa, quindi non trattenete il respiro». Nel frattempo, resta concentrato sul lavoro perchè «quando sei a metà di una maratona non pensi di farne un'altra ma pensi di finire quella che stai facendo», ha aggiunto riferendosi all'attuale piano «Transform» avviato nel 2016. E che procede a passo spedito, in anticipo di un anno sulla riduzione di 19 miliardi di esposizioni non performanti legate ai crediti deteriorati.
I primi sei mesi sono stati, inoltre, archiviati con un utile netto di 2,1 miliardi, in crescita del 15,3% rispetto allo stesso periodo del 2017 e del 4,1% se si escludono l'impatto della cessione di Pekao e il risultato netto di Pekao e Pioneer (rispettivamente -310 milioni e +121 milioni). Nel solo secondo trimestre i profitti hanno raggiunto quota 1 miliardo (in crescita annua dell'8,3%), lievemente superiore al consensus del mercato che si fermava a 975 milioni. Tornando al semestre, i ricavi si sono attestati a 10,1 miliardi (-2,5%), con margine di interesse a 5,3 miliardi (-1,7%) e commissioni nette a 3,5 miliardi (+1,3%). Si riducono i costi operativi, che nella prima metà dell'anno segnano un calo del 6,1% a 5,39 miliardi.
Anche Unicredit, come le altre big del credito, deve però fare i conti con la mina spread che ha portato la banca a riprezzare i costi dei mutui («abbiamo aumentato il pricing di alcuni prodotti un paio di mesi fa, perchè c'era tensione sul fronte dei prezzi della raccolta», ha spiegato ieri il direttore generale Gianni Franco Papa). L'indice di solidità patrimoniale (Cet1) è sceso di 56 punti base dal 13,1% di fine marzo al 12,51% di fine giugno. La stessa banca, d'altra parte, ha segnalato nella presentazione dei conti che un allargamento di 10 punti base dello spread tra Btp e Bund rispetto ai livelli di fine giugno costa a UniCredit 95 milioni netti (137 milioni lordi) in termini di capitale. L'impatto netto sul coefficiente Cet1 è quindi pari a 2,6 punti base netti (3,8 punti l'impatto lordo). Per la fine dell'anno 2019, il ratio è confermato al di sopra del 12,5%, «ipotizzando che gli spread rimangano ai livelli attuali», viene sottolineato nella nota.
Nel corso del secondo trimestre il gruppo ha però aumentato l'esposizione ai Btp da 42 a 44,6 miliardi. Con questi acquisti, ha spiegato Mustier, «abbiamo aumentato il rendimento» del portafoglio, mentre «la durata è rimasta stabile. Abbiamo fiducia nella forza dell'economia italiana.
Prendiamo le opportunità sullo spread quando la reazione del mercato è eccessiva, come a maggio, quando abbiamo aumentato marginalmente l'esposizione. Siamo in grado di gestire ogni specifica volatilità», ha concluso l'amministratore delegato.
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