Eni, investimenti per 60 miliardi Scaroni: «Snam vale 7 miliardi»

Eni, investimenti per 60 miliardi Scaroni: «Snam vale 7 miliardi»

nostro inviato a Londra

«Il mio cervello ha smesso di pensare a Snam, si sta rivolgendo altrove, stiamo disinvestendo e da domani qualcuno ci penserà. Più chiaro di così l'ad di Eni, Paolo Scaroni, nel presentare le strategie del gruppo petrolifero al 2015, non avrebbe potuto essere. Se il governo e il Parlamento hanno deciso per la separazione, sia pure. Ma l'operazione «dovrà riconoscere il valore della nostra quota» (oltre il 52%), che a livello di mercato si aggira sui «7 miliardi». Più pacato il presidente Giuseppe Recchi anche se alla fine la sostanza è la stessa.
«La questione è nelle mani del governo - ha dichiarato - e dobbiamo adeguarci. Se la decisione ci sarà sfavorevole, ne dibatteremo nel board». Non è una questione di lana caprina, perché i target al 2015 del cane a sei zampe sono sì legati all'aumento della produzione petrolifera (confermata la crescita superiore al 3% con focus su Russia, Kazakhstan, Venezuela e la start-up in Mozambico), ma il futuro di Snam può incidere su alcune parti. Ad esempio il rapporto debito/equity di fine 2011 avrebbe potuto scendere da 0,46 a 0,3 senza la rete di trasporto grazie al deconsolidamento di 11,2 miliardi di debiti. Idem per il Roace (il ritorno sul capitale investito) che sarebbe salito dal 9,8 al 10,4.
In caso di vendita si sarebbero ottenuti ratio ancora migliori. E Scaroni non si è certo nascosto dietro un dito: «Il giorno dopo la perdita della quota di controllo vogliamo uscire del tutto». Ora toccherà a Monti e a Passera valutare entro maggio quale sia la soluzione migliore ma la scissione con collocamento di parte della quota Eni in Snam non incontra certo i favori dell'ad. C'è solo una variabile che sembra essere indipendente. «Confermiamo la nostra politica di dividendi senza Snam e senza Galp (la controllata portoghese il cui patto di sindacato scade nel 2014) e vediamo un mondo in cui Eni abbia un grosso bilancio per portare avanti i suoi progetti in tutto il mondo», ha sottolineato il top manager. La società per il 2011 distribuirà una cedola unitaria di 1,04 euro (+4% sul 2010) e ne ha confermato la sostenibilità «durante tutto l'arco del piano in linea con l'inflazione».
Ambizioso anche il piano di investimenti che al 2015 raggiungeranno quota 59,6 miliardi, un dato migliore delle attese degli analisti. In fondo anche la conferma dell'utile netto consolidato a quota 6,86 miliardi come nei preliminari si può considerare un segnale positivo. Tant'è vero che il mercato ha sostanzialmente apprezzato con un leggero rialzo dello 0,4 per cento. Il discorso, tuttavia, è un altro.
Eni assomiglia sempre più a una «big oil» americana. Grande concentrazione sui progetti di sviluppo di produzione petrolifera come Mozambico, Kashagan, Mar di Barents (nel 2015 dalle start-up sono attesi 700mila barili al giorno). Le altre attività si collocano sempre più sullo sfondo.

Certo, il settore gas è promettente grazie anche alla rinegoziazione dei contratti con Sonatrach, Gazprom e quello con Statoil, ma l'Ebitda rettificato atteso a fine piano è inferiore ai 2 miliardi perché Snam rientrava in quel business. Idem per la raffinazione (atteso un miglioramento dell'Ebit di 550 milioni) e per la chimica. Scaroni ha fatto una scelta chiara e finora vincente. Ora tocca anche a Corrado Passera sostenerlo. E non solo a parole.

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