Economia

Eni-Saipem, vertici assolti per il caso dell'Algeria

Scagionato anche l'ex ad Scaroni. L'Antitrust multa il Cane a sei zampe per il diesel verde

Eni-Saipem, vertici assolti per il caso dell'Algeria

Nessuna corruzione internazionale, nessuna maxi tangente. Eni, Saipem, l'ex ad Paolo Scaroni e i manager coinvolti nell'affaire algerino - secondo il quale l'azienda di San Donato avrebbe sborsato 197 milioni di dollari per ottenere appalti da 8 miliardi nel paese africano - sono stati assolti in secondo grado dalla Corte d'Appello di Milano.

Revocati dalla confisca anche i 197 milioni di dollari a carico di Saipem. Enrico Giarda, il legale della società, ha parlato di una «sentenza storica. Finalmente viene fatta giustizia dopo 8 anni di massacro giudiziario». A esultare anche la difesa di Scaroni, attuale presidente del Milan: «Credo che si possa mettere la parola fine a questa vicenda», ha detto l'avvocato Enrico De Castiglioni. Il processo, arrivato alla sentenza di secondo grado, riguarda il presunto pagamento di una «maxitangente», così l'aveva definita il pm di Milano Isidoro Palma durante il processo di primo grado, e presunte irregolarità nell'operazione del 2008 che portò Eni a comprare la società canadese First Calgary Petroleums, che come unica attività aveva un giacimento di gas a Menzel, in Algeria, in comproprietà con l'azienda statale algerina Sonatrach. L'operazione è costata circa 923 milioni di dollari canadesi. Una svolta giudiziaria non da poco, soprattutto per Saipem, che chiude un lungo capitolo di incertezza che non poco ha penalizzato il business e il titolo in Borsa negli ultimi anni.

Schiarita anche in casa della capogruppo Eni la cui giornata che ha visto anche 17 nuove licenze esplorative in Norvegia ottenute dalla controllata Vard - è stata però mezza rovinata dalla multa arrivata ieri dall'Antitrust.

Il peccato del Cane a sei zampe? Aver definito green il diesel. Il gasolio è un prodotto «altamente inquinante che, quindi, in nessun caso può essere considerato green o utile per prendersi cura dell'ambiente», spiega la delibera dell'Antitrust, che le ha inflitto una sanzione da 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole nella campagna relativa al carburante «Eni Diesel+». Una multa che ha colto di «sorpresa» il colosso petrolifero, che ricorrerà al Tar del Lazio e che «ha presentato alcune decisive evidenze che confermano la correttezza metodologica e informativa della propria comunicazione commerciale». Tra queste, ha sottolineato «le proprietà assolutamente uniche sotto il profilo ambientale» della componente biodiesel Hvo utilizzata per il nuovo carburante.

Oggetto del contendere è l'articolata campagna pubblicitaria dell'Eni che, per far conoscere ai propri clienti il nuovo carburante, ottenuto miscelando un 85% di gasolio minerale con un 15% di prodotto di origine vegetale (o biodiesel), ha utilizzato il termine «green diesel» in modo complessivo, in sostanza, è il rilievo dell'Antitrust, «confondendo» il prodotto finale con la sua componente biodiesel.

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