Un fumetto ti può cambiare la vita. Fino a portarti al Nobel. Se non ci fosse di mezzo la povertà più dura e aberrante, quella di Esther Duflo potrebbe essere raccontata come la favola della donna più giovane a ricevere dalle mani dell'Accademia reale svedese il prestigioso riconoscimento. Con i suoi 46 anni, Duflo fa sbarcare il Pink power a Stoccolma, si prende il premio per l'Economia e, in una sorta di rito coniugale, lo condivide con il marito, l'economista di origine indiana Abhijit Banerjee che assieme a lei lavora al Mit, e per le missioni condivise anche col docente di Harvard, Michael Kremer.
«La ricerca condotta dai laureati di quest'anno ha migliorato in modo considerevole la nostra capacità di combattere la povertà nel mondo - si legge nella motivazione - . In appena due decenni, il loro approccio, basato sulla sperimentazione, ha trasformato le economie in via di sviluppo, che ora rappresentano un'area di ricerca florida». Come era successo quattro anni fa con il Nobel assegnato ad Angus Deaton, è sempre lo stesso flagello ad aver attirato l'attenzione dei giurati del Nobel. Ma se allora era stato premiato l'approccio accademico al problema, il teorizzare la fuga dalla miseria, questa volta ha vinto l'attitudine ad affrontare direttamente sul campo, faccia a faccia, un cancro che distrugge ancora troppe vite (cinque milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono ogni anno) e costringe nell'Africa sub-sahariana il 42% della popolazione a vivere con 1,90 dollari al giorno.
Un mondo parallelo a quello civilizzato, e sprecone, che Duflo conosce benissimo. Ha solo sei anni, e si ritrova fra le mani un giornalino: racconta di Madre Teresa e di Calcutta. Anche un fumetto può essere altamente educativo. Servire il prossimo, assistere i più miserabili: per la giovane parigina Esther, diventa una missione. Laurea all'École normale supérieure e successivo dottorato al Mit serviranno per apprendere, ma per capire e risolvere bisogna muoversi, andare. Non aver paura. È così che Duflo mette il primo mattone per arrivare a Stoccolma.
Oggi le si riconosce non tanto l'approccio macro, quell'osservare dall'alto il problema che è quasi sempre il metodo di lavoro dello studioso, quanto piuttosto l'abilità di spacchettare i problemi assieme al marito (e spesso anche con Kremer) «per poi esaminarli - spiega - il più scientificamente possibile». E quindi scioglierli.
Si va in India, poi in Africa. Il team è stato in particolare associato al programma «Insegnare al giusto livello» (Tarl) che ha aiutato 60 milioni di bambini indiani e africani. Il metodo è sempre lo stesso: si guarda, si studia, si agisce. E magari si scopre che la sverminazione rende più agevole l'istruzione dei bambini, che legare il rinnovo del contratto dei docenti ai risultati ottenuti garantisce voti migliori.
Oppure, quanto una nuova divisa scolastica possa far scendere i picchi d'assenteismo, o un cellulare messo nelle mani di un pescatore indiano del Kerala riesca a far decollare i guadagni grazie ad acquirenti lontani. E così, davvero, la pratica val più della grammatica. E anche un Nobel.
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