Tutti i gusti dei Papi a tavola : dal Rinascimento al nuovo Conclave

Nel corso dei secoli le tavole dei Pontefici sono state imbandite nelle maniere più varie e disparate. Opulente come quelle degli altri monarchi europee oppure austere come quelle di un eremita

Tutti i gusti dei Papi a tavola : dal Rinascimento al nuovo Conclave

La storia della cucina papale è un intreccio affascinante di potere, spiritualità, cultura e piacere. Dai fastosi banchetti rinascimentali, dove l’opulenza sfidava il cielo, alla austera sobrietà di Papa Francesco che si accontentava una pizza margherita piuttosto che di portate elaborate, ogni Papa ha lasciato un’impronta culinaria legata alla sua personalità, alle origini geografiche e al contesto storico. Attraverso ricette, aneddoti e leggende, scopriamo come la tavola dei Pontefici sia stata non solo un luogo di nutrimento, ma anche di diplomazia, arte e persino scandalo. Nel XV e XVI secolo, i Papi erano veri e propri principi rinascimentali ancor prima che guide spirituali della Cristianità e le loro tavole riflettevano questa dualità.

Papa Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici (1513-1521), ereditò dalla famiglia fiorentina l’amore per l’arte e il lusso. I suoi banchetti erano opere teatrali: tra le portate più memorabili, il “cinghiale alla moresca”, arrosto avvolto in una crosta di spezie e miele, e i pavoni farciti, serviti con le piume rizzate come se fossero vivi. Si racconta che, durante un pranzo, fece portare in tavola dolci modellati a forma di animali che, una volta tagliati, “sanguinavano” vino rosso, suscitando meraviglia e scalpore.

Non mancavano mai i "biancomangiari", creme a base di mandorle e latte, simbolo di purezza ma anche di ricchezza, dato l’alto costo degli ingredienti. Alessandro VI Borgia (1492-1503), di origini spagnole, portò a Roma i sapori forti della sua terra. Amante delle spezie esotiche, come zafferano e pepe lungo, introdusse il “Brodetto alla Borgia”, una zuppa di pesce arricchita con crostacei e vino bianco, che divenne emblema della sua corte. Si dice che i banchetti del Borgia fossero anche teatro di intrighi: secondo alcune cronache, i suoi nemici temevano di essere avvelenati, tanto che il Papa istituì l’uso del “pregustatore”, un servitore incaricato di assaggiare ogni piatto prima di servirlo.

Non tutti i Papi cedettero alla tentazione della gola. Pio V (1566-1572), domenicano asceta, impose rigore durante il suo pontificato. Promosse il digiuno quaresimale e incoraggiò il consumo di baccalà, un piatto povero ma nutriente, ancora oggi simbolo della cucina italiana del Venerdì Santo. Tuttavia, anche lui aveva un debole: si narra che amasse i fagioli con le cotiche, piatto umile della tradizione laziale, che faceva servire nelle mense dei poveri. All’opposto, Urbano VIII Barberini (1623-1644), appartenente all'importante famiglia romana, trasformò la cucina in arte.

Appassionato di tartufi, li fece inserire in ogni portata, dal risotto al tartufo nero alle fettuccine condite con burro e scaglie del prezioso fungo. La sua corte divenne celebre per i “banchetti scientifici”, dove pietanze elaborate erano accompagnate da discussioni filosofiche e dimostrazioni alchemiche. Tra mito e realtà, molti piatti sono legati alle figure dei Papi. Le Uova alla Benedettina, ad esempio, sono spesso associate a Benedetto XV(1914-1922), che amava le uova in camicia con salsa olandese. Tuttavia, la ricetta delle "Eggs Benedict" nacque a New York nel XIX secolo: la somiglianza del nome resta un mistero gastronomico. Un altro piatto legato alla tradizione è la “Papalina”, una frittata soffice con erbe di campo e pecorino romano, creata per Pio XII (1939-1958) durante gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale.

Il Pontefice, noto per la sua riservatezza, apprezzava la semplicità di questa ricetta, che ancora oggi viene preparata nelle trattorie romane. Sulle tavole del vescovo di Roma non poteva poi mancare mai il vino, importante simbolo cristiano e piacevole bevanda. Fin dal Medioevo, i Papi si sono interessati alla sua la produzione.
Le vigne di Castel Gandolfo, residenza estiva papale, risalgono all’epoca di Urbano VIII. Oggi, la tenuta produce il “Malvasia Puntinata”, un bianco aromatico, e il “Cesanese”, un rosso corposo, serviti durante i pranzi ufficiali. Si dice che Paolo VI (1963-1978) amasse sorseggiare un bicchiere di Malvasia mentre ammirava il tramonto sul lago Albano.

Con Giovanni Paolo II (1978-2005), la cucina papale si aprì al mondo. Nato in Polonia, il Papa portò in Vaticano i sapori della sua infanzia: i "pierogi" ripieni di patate e ricotta, la "zuppa żurek" a base di segale fermentata, e il "babka", un dolce lievitato. Durante i suoi numerosi viaggi, amava assaggiate con curiosità i piatti locali: in Messico provò i "tamales",in Kenya assaporò il "nyama choma" (carne alla griglia), e in Giappone gustò il sushi, sempre mostrando rispetto per le culture.
Benedetto XVI (2005-2013), bavarese di nascita, mantenne un legame con la sua terra. I suoi pasti preferiti includevano i "Knödel" (canederli di pane) in brodo, lo "Apfelstrudel" con crema alla vaniglia e il "Leberkäse", una sorta di terrina di patè di fegato. Tuttavia, secondo i collaboratori, il suo vero peccato di gola erano i cioccolatini al liquore, che riceveva in regalo da fedeli tedeschi.

Papa Francesco, argentino di origini italiane, incarnava invece l’essenzialità. Amava la pizza margherita, i carciofi alla giudia e la parmigiana di melanzane, ma non disdegnava i sapori della sua terra: il dulce de leche, la empanada de carne e il mate, che beveva ogni mattina. Durante il conclave del 2013, stupì i cardinali rifiutando la lussuosa suite riservata al Papa emergente e preferendo condividere i pasti nella mensa comune, dove chiedeva piatti semplici, senza sprechi.

Le cucine del Vaticano sono un mondo di rituali. Ogni mattina, le suore della comunità religiosa che gestisce i pasti preparano pane fresco, pasta fatta a mano e dolci secondo le ricette tramandate da secoli. Viene seguita una filosofia culinaria basata su ingredienti stagionali e km0, molti dei quali coltivati nell’orto di Castel Gandolfo.
Durante i conclavi, la tradizione vuole che i cardinali ricevano menu anonimi: ogni piatto è indicato con un numero, per evitare che le preferenze culinarie influenzino le votazioni. Tra le ricette più richieste, l’agnello alla cacciatora con olive e pinoli, e gli gnocchi alla romana, che si dice abbiano conquistato anche Joseph Ratzinger prima di diventare Papa. Nonostante i piaceri della tavola, i Papi hanno sempre ricordato il valore del digiuno.

San Gregorio Magno (590-604) istituì norme rigorose per l’astinenza, mentre Papa Francesco ha trasformato il cibo in un simbolo di giustizia sociale.
Durante il Giubileo della Misericordia (2016), fece aprire una mensa per i poveri in Piazza San Pietro, servendo pasta al pomodoro e pane benedetto, per sottolineare che “mangiare è un atto sacro, ma solo se condiviso”.


La figura del Papa ha ispirato nel corso dei secoli proverbi e leggende a tavola. Nel Medioevo, si credeva che mangiare lenticchie il giorno dell’elezione di un nuovo Pontefice portasse ricchezza, in riferimento alla “moneta” di Giuda. Dai banchetti che sfidavano la gravità morale alla pizza condivisa in umiltà, la gastronomia papale è un viaggio attraverso secoli di storia, arte e fede. Ogni piatto, ogni bicchiere di vino, ogni gesto di sobrietà racconta una storia di potere e redenzione, di identità e apertura.


Come scrivevano i cronisti del Cinquecento, a tavola, i Papi erano prima di tutto uomini piuttosto che santi— e in quel contrasto, tra sacro e profano, risiede la bellezza di una tradizione che continua ad evolversi, senza dimenticare le sue radici.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica