La Fed e l'industria europea mandano le Borse al tappeto

Come trovarsi, d'improvviso, circondati: su un fianco, dai falchi della Fed che spingono per ritirare le misure di sostegno alla crescita; e dall'altro lato, da un'industria europea sempre più col fiato corto e dal passo recessivo. Così, ieri, per le Borse non c'è stato scampo.
Giornata nera, con gli indici collassati sotto il peso di vendite che fin dal mattino hanno impresso alla giornata un mood plumbeo e con le rinnovate tensioni sui titoli di Stato che hanno spinto lo spread tra Btp e Bund tedesco oltre la soglia dei 290 punti. Male, quindi, tutti i mercati, con gli oltre due punti percentuali lasciati sul campo da Parigi, l'arretramento di Francoforte di quasi l'1,9% e lo scivolone di Londra dell'1,6%.
Ma la maglia nera, ancora una volta, è stata indossata da Piazza Affari. Il Ftse-Mib ha conservato solo per il rotto della cuffia quota 16mila in seguito a una picchiata del 3,13%. Come sempre, a zavorrare il listino milanese sono state le banche, ipersensibili a ogni movimento verso l'alto dei differenziali di rendimento.
Seppur a intermittenza, la Borsa italiana continua inoltre a soffrire il condizionamento legato all'esito delle elezioni politiche, in particolare alla possibilità che dalle urne non esca una robusta maggioranza al Senato.
Il crescente livello di incertezza, a una manciata di giorni dal voto, potrebbe dunque aver indotto gli investitori istituzionali stranieri a «chiamarsi fuori», almeno per il momento. Meglio, insomma, passare all'incasso, in attesa che il quadro politico si chiarisca.
Ma, più in generale, sono altri gli elementi che concorrono a spingere gli azionisti verso la porta d'uscita del mercato.
Le minute della Federal Reserve rese note mercoledì sera hanno alimentato preoccupazioni che già da tempo serpeggiavano nei riguardi delle strategie della banca centrale Usa.
Ben Bernanke è ancora protetto da una larga maggioranza all'interno del board favorevole al mantenimento dello status quo. Ovvero, a proseguire nel programma di acquisto di 85 miliardi di dollari al mese di titoli di Stato e bond garantiti da mutui.
Un puntello ritenuto fondamentale per sostenere gli investimenti e le assunzioni, in modo da rilanciare la crescita tenendo i tassi di lungo periodo bassi. Di recente, Bernanke ha reso noto che il costo del denaro resterà ai livelli attuali (tra lo 0 e lo 0,25%) finché la disoccupazione non sarà scesa dal 7,9% al 6,5%.
Ma questa linea ultra-espansiva ha almeno un paio di detrattori tra i componenti del Fomc (il braccio operativo in materia di politica monetaria) che temono possa incoraggiare un'eccessiva assunzione di rischio in alcune aree del mercato del credito.
Di un possibile cambio di strategia si discuterà nella riunione del prossimo 19 e 20 marzo, anche se appare improbabile un mutamento di rotta a breve.
I mercati sono però preoccupati.

Anche a causa delle pessime notizie arrivate ieri dall'indice Pmi dell'eurozona che ha evidenziato un inatteso peggioramento dell'attività economica, scesa a 47,3 punti a febbraio dai 48,6 di gennaio. Essendo sotto i 50 punti, la lettura segnala il proseguimento della fase di contrazione. Inoltre, gli unici segnali positivi arrivano dalla Germania, mentre la Francia ha subìto il calo più rapido da inizio 2009.

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