Economia

Fed, mani più libere per il via all'exit strategy

Fed, mani più libere per il via all'exit strategy

L'accordo bipartitisan sul debito federale Usa, raggiunto nella notte tra martedì e mercoledì, non ha scongiurato soltanto il rischio di un altro shutdown. La Federal Reserve, infatti, ha ora le mani più libere per poter rimuovere gradualmente gli stimoli economici. Lo scorso ottobre, la paralisi degli uffici pubblici causata dalla rottura delle trattative sul budget tra democratici e repubblicani, aveva invece fatto perdere miliardi di dollari all'America e impedito la rilevazione di alcuni dati-chiave usati dalla banca guidata da Ben Bernanke per modulare le strategie. Un motivo ritenuto sufficiente per non affrontare all'interno del Fomc (il braccio di politica monetaria) l'argomento «tapering».
Adesso l'intesa, basata su un aumento delle tasse aeroportuali, su tagli alle pensioni dei dipendenti federali e dei militari nonché sull'aumento dei premi per le assicurazioni federali, elimina una grossa incognita. Inoltre, si allontana lo spettro del sequester, i tagli automatici alla spesa che scattano quando il Congresso non è in grado di mettere a punto un piano capace di dar sforbiciate al deficit. Quest'ultimo subirà un dimagrimento di 85 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. Sulla carta, però, rimangono ancora due potenziali ostacoli al ritiro degli aiuti mensili. Così amati dai mercati, tanto quanto è vista come il fumo negli occhi la Volcker Rule, firmata ieri dalla Fed, i cui standard stringenti potrebbero limitare le attività delle banche e, dunque, i profitti. Il primo scoglio riguarda la disoccupazione: un andamento deludente in dicembre potrebbe indurre la Fed a soprassedere ancora una volta. L'altro riguarda il nodo del tetto del debito, che se non verrà sciolto dal Congresso il prossimo 7 febbraio trascinerà l'America vicina al baratro del default. Da gennaio Janet Yellen prenderà il posto di Bernanke, ma l'ex docente di Harvard ha già più volte manifestato l'intenzione di muoversi con estrema prudenza.
Nella riunione della prossima settimana potrebbe prevalere la sua idea di rinviare l'exit strategy a marzo, quando il quadro macroeconomico e politico sarà (sperabilmente) chiarito. Sembra tuttavia scontato che il tapering sarà il clou del vertice di martedì e mercoledì. James Bullard, presidente della Fed di Saint Louis e certo non uno dei falchi all'interno del board, ha detto che il miglioramento del mercato del lavoro ha aumentato le probabilità di una riduzione degli acquisti. Resta un problema, esplicitato da Jeffrey Lacker (Richmond), secondo cui la Banca centrale ha problemi nel comunicare i criteri per il taglio degli stimoli. «Non è realistico», ha detto, che la Fed possa cambiare la velocità degli acquisti di frequente.


Sul fronte Bce, Mario Draghi deve subire invece l'attacco delle potenti casse di risparmio tedesche: i bassi tassi d'interesse, è l'accusa, «scoraggiano» sia le banche tedesche dal concedere prestiti alle imprese sia i cittadini a risparmiare.

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