Autunno caldissimo per Sergio Marchionne. Ai problemi sul tappeto (crollo del mercato automobilistico, fusione Fiat Industrial-Cnh in bilico, accertamenti Consob sulla liquidità, malumori della famiglia Agnelli su alcune sue dichiarazioni) si è aggiunta, ieri, la sentenza della Corte di appello che ha dato ragione alla Fiom sulla vertenza Pomigliano. In pratica, il collegio dei giudici (Amelia Torrice, Tiziana Orrù e Roberto Bonanni), nel respingere il ricorso di Fiat, ha disposto la riassunzione di 145 lavoratori della Fiom. Lo scorso 21 giugno il Tribunale di Roma aveva condannato il Lingotto per discriminazioni contro il sindacato guidato da Maurizio Landini, disponendo che 145 lavoratori con la tessera Fiom venissero assunti nella fabbrica.
Alla data della costituzione in giudizio alla fine di maggio, su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano nessuno - secondo l'accusa - risultava iscritto alla Fiom.
Da parte sua, il Lingotto fa sapere di essere pronto a ricorrere alla Corte di cassazione e che «le considerazioni di allora (il ricorso alla sentenza del 21 giugno) risultano ancor più valide oggi, alla luce del fatto che l'azienda è già stata costretta a far ricorso negli ultimi mesi alla cassa integrazione per un totale di 20 giorni lavorativi, a causa della situazione del mercato dell'auto in Europa».
E mentre la Fiom festeggia («sono il primo dell'elenco - dice uno dei ricorrenti, Stefano Birotti - il mio sarà il primo nome che Marchionne leggerà quando gli metteranno davanti la sentenza della Corte d'appello») e Landini gongola («è utile che Marchionne volti pagina, se vuole restare in Italia deve rispettare le ordinanze, le leggi, la Costituzione e fare investimenti»), i sindacati firmatari del referendum che ha dato vita a Fabbrica Italia Pomigliano, affermano che se lo stabilimento lavora è merito loro. «Se questo impianto esiste - ricorda in una nota Fim-Cisl - è grazie a chi ha firmato gli accordi. In virtù di quell'accordo 2.100 lavoratori sono stati assunti per produrre la nuova Panda ed è quell'accordo, che impegna Fiat ad assumere entro luglio 2013 tutti i lavoratori ancora in cassa integrazione; non le azioni legali della Fiom, che semmai, creano un discutibile diritto di precedenza dei propri iscritti a scapito degli altri lavoratori».
Ora, secondo la sentenza, il Lingotto avrà tempo 30 giorni per mettere a punto i piani di assunzione dei 19 operai che hanno presentato ricorsi singoli; per gli altri 126, riuniti in un'unica causa Fiom, i tempi saranno più lunghi: 180 giorni. «È importante che questa storia finisca velocemente per il bene di tutti - commenta Gerardo Giannone, operaio e autore del libro Classe Operaia - e che la dirigenza metta lungo la linea di montaggio, a lavorare, i ricorrenti. Ma è anche vero che la sentenza di ieri suona come una beffa per chi, iscritto o meno a un sindacato, sta pazientemente aspettando che arrivi il turno della sua riassunzione». Sempre Giannone lancia un allarme sul fatto che la condanna di Fiat per atti discriminatori costerà la perdita del credito d'imposta, a favore dei neoassunti nel Mezzogiorno. «Un giudizio quello della Corte - spiega Giannone - che a questo punto pregiudica il totale riassorbimento della forza lavoro ancora in cassa integrazione».
«Ritengo sia una sentenza estremamente punitiva per la Fiat e molto pericolosa per il futuro dell'imprenditoria nel nostro Paese - commenta il giuslavorista Gabriele Fava -; la motivazione non è, peraltro, condivisibile in quanto si basa sull'applicazione di una normativa in tema di discriminazione che prevede casi tassativi, tra i quali non rientra l'affiliazione sindacale. In più, la pronuncia arriva in un momento di crisi del mercato automobilistico europeo che ha costretto Fiat a ricorrere già da tempo agli ammortizzatori sociali. La strada per Fiat, alla luce della decisione dei giudici è in salita».
Il 30 ottobre, intanto, si avvicina.
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