Fiat, l'Italia resta «in riserva»

Fiat, l'Italia resta «in riserva»

Per fortuna che per ritrovare un anno con il «13» come numero finale ci vorrà tanto ma tanto tempo. E chissà se, per allora, la Fiat esisterà ancora e, in tal caso, chi sarà alle leve di comando e in quale business opererà. Non sappiamo se il presidente John Elkann e l'ad Sergio Marchionne siano superstiziosi ma, guardando solo a buona parte delle vicende del Lingotto accadute nel 2013, riteniamo che entrambi non vedano il momento di voltare pagina. L'anno che volge al termine, al di là delle polemiche infuocate con la Fiom di Maurizio Landini approdate nella maggior parte dei casi in tribunale, si può considerare nero per il gruppo automobilistico in Europa e nel Paese dove affonda le radici. E lo stesso vale per la produzione di veicoli in Italia («siamo ormai ai minimi, in pratica è quello che un tempo veniva sfornato da un solo impianto», afferma con preoccupazione il numero uno della Uilm, Rocco Palombella). In Europa, poi, la quota di mercato del gruppo è precipitata in ottobre, attestandosi al 5,8% dal precedente 6,6% dell'anno precedente. Oggi conosceremo i dati di novembre relativi all'Italia, mercato in caduta libera e considerato ormai la palla al piede dell'Europa visto che è stato, tra i «big», l'unico con il segno meno a ottobre.
È vero che «l'anno orribile dell'auto in Italia», come Palombella definisce il 2013 (-8% le immatricolazioni tra gennaio e ottobre), alla fine inciderà pesantemente su produzione e vendite del gruppo torinese, ma a tutto questo bisogna aggiungere il forte rallentamento impresso da Marchionne allo sviluppo di nuovi modelli (rispetto ai concorrenti l'ad del Lingotto ha deciso di procedere contro corrente, alla luce della crisi economica in corso) e il rilancio ritardato, sia per la situazione congiunturale sia per le liti continue con la Fiom, degli stabilimenti («Landini ha la colpa di aver scoraggiato l'ad di Fiat», accusa Palombella). E se, in proposito, a Pomigliano, Grugliasco, Atessa e Melfi i risultati degli investimenti destinati si possono toccare con mano (dove la produzione di nuovi modelli non è stata ancora avviata, come nel caso di Melfi, è già iniziato l'adeguamento delle linee), è sempre Mirafiori, nonostante il miliardo stanziato per farne il polo del lusso in tandem con Grugliasco, a tenere in ansia sindacati e operai. «I lavori non sono ancora cominciati, è una situazione che ci allarma - afferma il leader della Uilm -: le unità di Alfa MiTo prodotte a Mirafiori sono esigue e gli operai lavorano una settimana su quattro. Quella di Torino è la fabbrica che totalizza più ore di Cig (196 giorni al 31 ottobre, secondo i dati Fim, ndr)». Alla «cassa» i lavoratori del gruppo ci sono abituati, ma quest'anno il ricorso è stato più elevato per la mancanza di domanda. La Uilm sembra essere più preoccupata per Mirafiori rispetto a Cassino, ultimo impianto nell'ordine che deve ancora conoscere il proprio futuro. «Penso che sarà fatta chiarezza agli inizi del 2014 (febbraio potrebbe essere il mese, una volta definita la trattativa sul contratto interno, ndr) - spiega Palombella -; a Cassino si producono Giulietta, Delta e Bravo e anche qui la Cig corre (105 giorni al 31 ottobre, il dato Fim, ndr). Rispetto agli altri siti, però, Cassino è più flessibile. Per questo il rilancio sarà meno complesso. Attende solo di sapere cosa produrre di nuovo. Pensiamo alla Giulia». Più rosea la situazione ad Atessa (furgoni insieme a Psa), in casa Ferrari (Maranello) e Maserati (Grugliasco), anche se in quest'ultimo caso i sindacati sollecitano più attenzione e investimenti anche su Modena, dove nascono Quattroporte e GranTurismo.
Marchionne, in attesa di sciogliere il nodo Chrysler con Veba (se ne riparlerà, in un senso o nell'altro, dopo l'Epifania e a ridosso dell'Auto Show di Detroit, a metà gennaio), svelerà i nuovi piani, basati soprattutto sull'alta gamma, dopo la prima trimestrale.

Per ora ha deciso di rifocalizzarsi sull'Europa dove Fiat è chiamata a una rimonta non facile, anche perché gli avversari non stanno a guardare: il gruppo Volkswagen, per esempio, degli 84 miliardi di investimnenti programmati nei prossimi 5 anni, ne destinerà il 60% alla Germania. «Ci aspettiamo - commenta il capo della Uilm - un piano industriale che preveda ingenti risorse. Fiat deve tornare forte in Europa e in Italia».

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