Finanza in manovra ma il governo latita

La Zuppa di Porro: in gioco c’è il ruolo di Mediobanca, il vertice di Unicredit, il futuro di Finmeccanica. Ma in questo esecutivo mancano punti di riferimento. Euro salvo: il problema non era Roma

Finanza in manovra  ma il governo latita

Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, Vittorio Grilli, viceministro del Tesoro, Antonio Catricalà, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Chi di loro si occupa dei grandi dossier della finanza italiana? Nessuno.

Eppure a fare una lista veloce della spesa, c’è molta carne al fuoco. Partiamo dagli ingredienti.

Occorre individuare il presidente e un conseguente equilibrio nella prima banca del Paese, Unicredit. I nomi emersi fino ad oggi, c’è da scommettere, sono bruciati. Resta la flebile fiammella di Angelo Tantazzi, ma è per l’appunto, di forza molto tenue. Per la guida del Monte dei Paschi, l’ex presidente, Giuseppe Mussari, pare sia riuscito nel colpaccio di piazzare Alessandro Profumo. Il ragionamento è semplice: il modo con cui verrà venduta la partecipazione Mps da parte della Fondazione non garberà al mercato; una nomina come quella di Profumo è un segnale di riequilibrio. Andiamo avanti. Per il controllo delle assicurazioni della famiglia Ligresti è in corso una battaglia senza esclusione di colpi, tra Mediobanca (con Unicredit) e la cordata rampante di Matteo Arpe (ex Mediobanca) e Roberto Meneguzzo (socio delle Generali, controllate da Mediobanca). Un bel pasticcio, di quelli che riguardano il potere vero in Italia. La partita resta aperta e la sua conclusione avrà ripercussioni importanti. E poi ci sono i gioielli di famiglia. Finmeccanica, come titolò Mf, dopo gli scandali sembra «più pulita, ma in mutande». Il nuovo uomo forte è un manager interno, Giuseppe Orsi, e il suo cfo, Alessandro Pansa, è da dicembre membro ingombrante del board. L’Enel ha deciso due giorni fa di tagliare il suo dividendo: il che vuol dire un bella riduzione nell’assegno che ogni anno gira al Tesoro. Nessuno ha ben capito come finirà la separazione di Snam Rete gas da Eni: dietro alle diverse tecnicalità ballano miliardi di euro, a favore del Tesoro o dell’azienda guidata da Paolo Scaroni. Calma piatta sulle reti di Telecom (anche se una bottarella è arrivata con il decreto semplificazioni) e su quella delle Ferrovie. Non si capisce bene la logica per la quale si debba separare la rete del gas dal produttore e non quella di ferro da Moretti. E potremmo continuare all’infinito: pensate al comitato esecutivo dell’Abi che si dimette in blocco per protesta nei confronti di una norma voluta dal Parlamento, e poi appoggiata(?) dal governo.

Un grande minestrone, più che una zuppa. Il senso, però, è chiaro: non si capisce bene chi tenga le fila di questa intricata matassa. O meglio, con chi si possa banalmente parlare, chi sia l’interlocutore. Chi abbia sostituito Gianni Letta e Giulio Tremonti.

Fuori gioco, il premier. Mario Monti è anche ministro del Tesoro. Ma qualcuno può forse immaginare che sia oggi lui un interlocutore per questioni, diciamo così, di bassa cucina?

Ci sarebbe Grilli, viceministro a Via XX Settembre. Chi lo ha incontrato recentemente si è sentito rispondere: «Ma questa è una questione politica», come se non fosse affar suo. In effetti ha un doppio cappello, quello di tecnico-politico come viceministro e quello di tecnico-burocrate come direttore generale del Tesoro.

Sembra prevalere sempre questo secondo copricapo. Sarà curioso vedere cosa succederà il 31 maggio quando il governatore della Banca d’Italia leggerà le sue Considerazioni finali. Per tradizione il direttore generale gli siede (un po’ più in basso) a fianco; mentre come ministro non dovrebbe mettere piede in assemblea. Si dimetterà da un incarico prima di quella data? In molti, e non solo per questioni di forma, lo sperano.

Arriviamo a Passera. È l’uomo che è più strutturato per tenere il bandolo della matassa. D’altronde è proprio roba sua. Ma gli amici dicono che fa sempre un passo indietro. I nemici: che è terrorizzato. Quel che è certo è che su banche e infrastrutture si sta autocensurando, come avrebbe detto nella sua vita passata, si sente «conflicted». Troppo facile ritenerlo colpevole di «intelligenza con il nemico», come dimostra la sua assenza totale dalla polemica con l’Abi. Lo stesso Mussari lo ha più o meno direttamente confermato in una recente intervista.

Resta Catricalà, il Letta di Monti. Come dice un banchiere: non è ancora entrato nel ruolo; a metà strada tra presidente dell’Antitrust e consigliere di Stato. Certo che con l’inserimento dell’articolo 36 nel recente decreto liberalizzazioni, che vieta i doppi incarichi nelle banche controllate, ha comunque messo pesantemente le mani nel piatto della finanza che conta. Quella che passa da Fabrizio Palenzona, Unicredit e Mediobanca. Ma si tratta di un graffio e non della gestione di un progetto strategico (lo accusano i suoi interessati nemici).

Insomma, la finanza sta mettendo in fila le mosse con le quali dovremo convivere nei prossimi anni, proprio nel momento in cui Palazzo Chigi, più che a una merchant bank che non parla inglese, assomiglia a un family office

con sede a Bruxelles.

Ps Luigi Bisignani, con il socio Roberto Mazzei, hanno ripreso la loro attività di consulenza. Hanno spostato gli uffici nella centralissima piazza San Silvestro a Roma. A due passi dal family office.

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