Fmi: «Troppi Btp in pancia le banche italiane rischiano»

La relazione pericolosa tra le nostre banche e il debito sovrano dell'Italia è nota. I circa 300 miliardi di euro di Btp tenuti in pancia, molti dei quali comprati con i quattrini della Bce (finora non restituiti), non possono certo passare inosservati. Non a caso, in un capitolo dell'Article IV, il Fondo monetario internazionale mette il dito sulla piaga: seppur capace di tener botta alla recessione, il legame tra il sistema creditizio tricolore e i titoli di Stato rappresenta un elemento di rischio.
Già lunedì scorso il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, aveva sollecitato gli istituti a sfruttare le migliorate condizioni di mercato (il calo dello spread) per alleggerire la quota di bond e tornare così a finanziare famiglie e imprese. Questa moral suasion, peraltro, si accompagna alle misure messe in campo da Via Nazionale per solidificare le mura del sistema bancario. Provvedimenti la cui efficacia viene riconosciuta dal Fondo diretto da Christine Lagarde. Spiega il responsabile del dipartimento Mercati del Fmi, Josè Vinals: «Fortunatamente le autorità italiane, in particolare la Banca d'Italia, hanno avviato il processo per aumentare gli accantonamenti delle banche italiane per prevenire eventuali danni da incagli e sofferenze in futuro».
Resta però ancora del lavoro. Il Fondo suggerisce di migliorare l'efficienza e la redditività delle banche, oltre a rafforzare dei piani di capitale e di finanziamento dove necessario. Inoltre, ma qui il discorso coinvolge tutto il settore finanziario europeo, deve continuare il deleveraging: fra il terzo trimestre 2011 e il secondo trimestre 2013, le grandi banche europee hanno ridotto gli asset di 2.500 miliardi di dollari su base lorda e di 2.100 su base netta, ovvero a livello di sistema. La scure è calata soprattutto sui prestiti, tagliati del 40%. Un fenomeno particolarmente avvertito in Italia dalla piccola e media imprese che fatica a finanziarsi attraverso il canale bancario. Secondo il Financial Times, la situazione è destinata a peggiorare con l'avvicinarsi della scadenza, a fine 2014, per il rimborso del maxi-finanziamento della Bce, che potrebbe causare un aumento del costo della raccolta compensato dalla mancata concessione di nuovi prestiti e dal tentativo di rientro di quelli già erogati. Sempre che Mario Draghi, come già lasciato ventilare, non disponga nel futuro prossimo venturo una terza emissione di liquidità a tassi ultra-convenienti.
L'Fmi indica, però, proprio nell'esposizione verso il settore corporate, un'altra potenziale fonte di pericolo in caso di mancato miglioramento dell'economia.

In Italia, ipotizzando che il 45% dei prestiti alle imprese vada in default, viene stimata una perdita di 125 miliardi, di cui 53 non coperti dagli accantonamenti. Secondo Vinals, questa esposizione verrebbe comunque assorbita dai profitti delle banche senza erodere il capitale.

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