La frenata dell’economia spaventa le Borse

La frenata dell’economia spaventa le Borse

Il rischio è quello di passare da una crisi all’altra. O, peggio, di aggiungere i problemi ancora irrisolti del debito sovrano a un ciclo economico problematico. Il che significa, per Eurolandia, interrogarsi su quanto sia grave la recessione e quanto di essa sia imputabile alle misure di austerità fiscale, mentre gli Stati Uniti devono gestire una ripresa fiacca e la Cina fare i conti con un indebolimento economico sconosciuto. L’analisi su quanto sta avvenendo a livello globale non è facile. Ecco perché spesso le valutazioni divergono. C’è il cauto ottimismo di Mario Draghi, secondo cui «il peggio è alle spalle anche se ci sono ancora dei rischi», che si salda con quello dell’European sistemic risk board, costola della Bce che parla di miglioramento dei mercati pur se permane «un rischio sistemico» legato alle incertezze del debito, alle pressioni sul finanziamento delle banche e, guarda caso, alle basse prospettive di crescita.
Gli ultimi dati macro, però, sembrano alimentare le preoccupazioni già espresse da governi, banche centrali e organismi quali il Fondo monetario e l’Ocse sull’evoluzione congiunturale di quest’anno. L’indice delle Pmi è da sempre un termometro cui i mercati sono molto sensibili, perchè riflette gli umori dell’industria manifatturiera. Ebbene, in marzo, il Pmi nell’euro zona è scivolato sotto la soglia dei 50 punti, la linea di demarcazione tra crescita e contrazione dell’attività. I timori maggiori sono correlati allo stato tutt’altro che brillante dei due principali motori economici, Germania e Francia. Le imprese tedesche sono appena un punto sopra la linea di galleggiamento, quelle francesi sono già in territorio recessivo. L’impressione è che un Paese fortemente export oriented come la Germania inizi a risentire del rallentamento cinese, dove l’indice manifatturiero si è attestato a quota 48,1. Il Dragone, d’altra parte, rischia di chiudere l’anno con una crescita dell’8,2-8,3% rispetto all’8,5% inizialmente stimato a causa delle persistente debolezza della domanda interna ed estera.
Per i mercati, una doppia doccia fredda che ha accentuato le debolezze già viste mercoledì e che ha provocato ribassi consistenti nelle Borse (-1,7% Milano) e un’accentuazione delle tensioni sugli spread, con il differenziale Btp-Bund risalito a 318 punti. Difficile stabilire quanto la risalita degli ultimi due giorni sia attribuibile anche al mancato accordo sulla riforma del mercato del lavoro. È però un fatto che mentre fonti Ue ci promuovono («L’Italia non ha bisogno di una manovra aggiuntiva» e sembra ben avviata verso il pareggio di bilancio nel 2013), il responsabile sui debiti sovrani di Standard&Poor’s, Moritz Kraemer, ha ricordato proprio ieri che il nostro è «il Paese più tenuto d’occhio dalle autorità politiche, semplicemente a causa delle alte esigenze di finanziamento», le quali sono «al disotto di un credibile supporto, dati gli attuali strumenti a disposizioni delle reti di protezione». Chiaro il riferimento ai fondi salva-Stati e al dibattito aperto sulla necessità - negata da Berlino - di potenziare l’Esm, il firewall permanente.
Più che positivo, comunque, l’esito dell’offerta dei Btp Italia, che avranno un tasso annuo del 2,45%: gli ordini totali hanno raggiunto i 7,29 miliardi di euro. Ieri, quarto e ultimo giorno di offerta, le richieste per il nuovo titolo del Tesoro indicizzato all’inflazione italiana hanno superato gli 1,5 miliardi. In totale gli ordini sono stati oltre 133mila per un taglio medio dei contratti pari a circa 54mila euro.

Gli ordini, dice un operatore, sono arrivati «per circa l’80% dal retail». Perfettamente centrato, dunque, il target: come aveva ricordato nei giorni scorsi il vice ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, il Btp era destinato prevalentemente ai risparmiatori.

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