Economia

Gm e Ford: per Moody’s sono «spazzatura»

da Milano

Anche la scure di Moody’s cala sulle obbligazioni emesse da General Motors e Ford, declassate al rango di junk bond, ovvero titoli spazzatura. Una brutta tegola per i due colossi automobilistici di Detroit, proprio nel giorno in cui Citigroup ha deciso da alzare, da 7,52 a 8 euro, l’obiettivo di prezzo sui titoli Fiat, il cui debito è già da tempo a livello di junk.
La bocciatura di Gm e Ford da parte di Moody’s era nell’aria. Già quattro mesi fa, Standard & Poor’s aveva preso un analogo provvedimento nei confronti dei due gruppi americani, motivandolo sostanzialmente con le stesse ragioni che hanno indotto ieri ad agire anche l’altra principale agenzia di rating. I “capi d’accusa” principali rimandano infatti alle perdite subite sul mercato nordamericano (complice anche il calo di vendite dei costosissimi Suv) e alla criticità del processo di ristrutturazione, reso tra l’altro più complicato dall’avvicinarsi della tornata di rinnovi contrattuali con l’agguerrito sindacato metalmeccanico della United Auto Workers.
La retrocessione del debito di Gm e Ford (da «Ba2» a «Baa3» per la prima, da «Ba1» a «Baa3» per la seconda») non mancherà di avere conseguenze. E non solo sui due gruppi, le cui emissioni al 30 giugno scorso superavano i 400 miliardi di dollari. Con il diminuire del rating, infatti, le aziende emittenti saranno costrette a offrire rendimenti più alti. Anche perché lo statuto vieta a molti investitori istituzionali (i fondi pensione, per esempio) di mantenere titoli il cui rating è inferiore a «Baa3» di Moody’s o a «BBB-» di S&P. È comunque verosimile che la decisione presa ieri non provochi terremoti sui mercati obbligazionari: già con l’intervento di S&P molti investitori erano stati costretti ad alleggerire il portafoglio.
La ripresa intravista nei conti dell’ultima trimestrale e la gamma di prodotti sono invece alla base del moderato ottimismo su Fiat da parte di Citigroup, che sul titolo del Lingotto ha comunque mantenuto la raccomandazione hold («tenere») con profilo high risk.

Nonostante i robusti volumi scambiati da tempo a Piazza Affari (anche ieri è passato di mano oltre il 2% del capitale, mentre i prezzi sono scesi dello 0,16%), gli analisti definiscono illogica l’ipotesi di un rastrellamento effettuato da Ifil in vista della scadenza del prestito convertendo.

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