La metafora che circola negli uffici giudiziari di Milano suona così: «Se affidi una macchina a un ubriaco, non puoi stupirti se alla prima curva quello va a sbattere». Eh sì. Perché la mossa con cui il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda autorizzò nel 2018 la cessione di Mercatone Uno all'imprenditore Valdero Rigoni somiglia sempre più, man mano che le indagini vanno avanti, ad una mossa che fin dall'inizio non aveva alcuna speranza di riuscita. La catastrofe del vecchio e a suo modo glorioso marchio retail fondato da Romano Cenni assomiglia sempre più a una saga dissennata, in cui manovre politiche si sono assommate a pasticci imprenditoriali e a decisioni incomprensibili da parte della magistratura bolognese. Questi tre fattori tutti insieme hanno fatto sì che il buco creato dal fondatore sia diventato sempre più profondo sotto la guida dei tre commissari straordinari che avrebbero dovuto rilanciare il gruppo e che hanno accumulato solo ulteriori perdite (salvo autoassegnarsi un emolumento di sette milioni).
L'indagine della Procura di Milano per bancarotta fraudolenta a carico di Rigoni, amministratore della Shernon Holding, è definita per ora «esplorativa», tanto intricato è il quadro. Però è certo che qualcuno sulla crisi di Mercatone Uno ha fatto i soldi, ed è una società americana che ha rilevato per soli 10 milioni un magazzino con giacenze valutate oltre 40 milioni. Questi beni vengono venduti per conto degli americani nei negozi della catena, incassando 18 milioni. Qualcuno, di là dall'oceano, si è messo in tasca otto milioni senza sforzo.
Non è l'unica stranezza. Quando Rigoni entra in scena, offrendo di rilevare la società dalla amministrazione straordinaria, si fa forte dell'appoggio di una società americana e di due produttori, uno boemo e uno polacco. Calenda dà il via. Subito dopo spariscono sia l'americano che il boemo che il polacco, e resta solo Rigoni, con la sua società basata a Malta e il suo curriculum imprenditoriale non troppo brillante. Ma i commissari straordinari, che evidentemente non vedono l'ora di togliersi dalle rogne, concludono ugualmente l'accordo.
Quello che accade dopo è riassunto nella comunicazione che il commissario giudiziale Marco Angelo Russo invia il 22 maggio al pm Roberto Fontana, e che risulta decisiva nel convincerlo a insistere nella richiesta di fallimento della Shernon. Russo spiega che la società si è finanziata omettendo di versare 8,7 milioni di oneri previdenziali e tributari e accumulando 60 milioni di debiti con i fornitori. Ogni mese, le perdite erano di sei milioni. La cessione a Shernon di Mercatone Uno, officiata dal governo con lo scopo di tutelare l'occupazione, si è trasformata in una bomba a orologeria che rischia di portare al fallimento a catena dei fornitori del gruppo. «Per salvare 1.700 posti se ne sono messi a rischio diecimila»: così alla sezione fallimentare del tribunale spiegano la decisione di staccare la spina all'azienda.
Nella sentenza che dichiara il fallimento della Shernon, il tribunale di Milano respinge la richiesta di proseguire l'attività provvisoriamente in nome della continuità occupazionale, e restituisce marchio, beni e dipendenti alla amministrazione straordinaria. Peccato che la amministrazione straordinaria sia stata precipitosamente chiusa dal tribunale di Bologna su richiesta dei tre commissari, che dopo avere accumulato debiti su debiti per tre anni hanno deciso di dire basta.
Ma c'era un dettaglio: la cessione di Mercatone Uno a Rigoni era stata fatta con riserva di proprietà, in attesa di un pagamento che non è mai arrivato. Quindi oggi l'azienda, o quel che ne resta, è di proprietà di una amministrazione che non esiste più. Un groviglio quasi inestricabile.
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