Zurigo«La nostra posizione è chiara. Adesso stiamo aspettando le risposte di Alitalia». James Hogan, numero uno di Etihad, non ha detto nulla di più. Anzi, introducendo l'incontro con la stampa internazionale dedicato al nuovo volo Zurigo-Abu Dhabi, aveva premesso: di Alitalia non parlo. Ma come? Venerdì il cda della compagnia italiana ha accettato le condizioni di Etihad e mr Hogan non lo sa ancora? In realtà la lettera del 1 giugno, che contiene le condizioni di Abu Dhabi per procedere all'operazione, presuppone una risposta nei fatti; la parte italiana deve rispettare tutti i punti (sindacali, finanziari, di governance e di sistema). Ma le cose vanno a rilento e Hogan è in attesa (nervosetto). La data è già scritta: o Alitalia sarà pronta per la firma entro il 31 luglio, oppure non se ne farà nulla. Ieri a Zurigo, dunque, Hogan non si è occupato di Alitalia. Ma è come se lo avesse fatto, perché illustrando le strategie di Etihad ha indirettamente indicato, con estrema chiarezza, cura e piani che attendono la compagnia italiana. Partiamo da un assunto: Etihad in questi anni ha investito in quote di minoranza di compagnie europee ed extraeuropee: ha acquistato il 49% di Air Serbia, il 40% di Air Seichelles, il 33,3% della svizzera Darwin (oggi Etihad regional), il 29% di Air Berlin, il 24% dell'indiana Jet Airways, il 21% di Virgin Australia, il 4,99% dell'irlandese Aer Lingus. A prima vista possono apparire acquisti un po'confusi; in realtà ciascuna compagnia porta in dote il proprio network e i suoi bacini di traffico. «Il trasporto aereo subisce trasformazioni. Occorre costruire il modello giusto», ha detto Hogan. Il «suo» modello è fatto di partecipazioni e di code sharing. «Investo in connettività e in integrazione delle reti», ha spiegato. «Abu Dhabi è il crocevia del mondo». Il modello-Hogan è alternativo a quello delle grandi alleanze globali che «sono ormai soltanto reti per le offerte ai frequent flyer. Non hanno abbassato i costi, non hanno prodotto economie di scala». Non lo dice, ma lo pensa: hanno fallito. Così Etihad si ritaglia la sua rete di collegamenti a misura propria, aggregando compagnie (e il loro network, studiato insieme) nelle quali una quota di minoranza dà maggior forza alla partnership commerciale. Non importa se le compagnie sono in rosso, la cura araba le riporta in salute, grazie all'uso intelligente degli aerei, all'integrazione delle reti e alle economie di scala; e comunque «investiamo solo in compagnie in cui crediamo». Il management e i processi decisionali rispettano le logiche locali: i maggiori flussi vanno a vantaggio di entrambi, maggioranza nazionale e minoranza di Abu Dhabi. Alitalia rispetterà in pieno questo schema.
Interessante la ricetta operativa. Etihad mette sul piatto le proprie dimensioni di grande cliente e le economie di scala che questo comporta, specie nei rapporti con i costruttori. Il problema sono le spese generali dei singoli partner, che vengono ristrutturate e tagliate all'osso. Il prodotto viene reso simile in tutte le compagnie affiliate, in termini di allestimenti, standard di qualità e formazione degli equipaggi.
L'obiettivo è rendere «intelligente» l'intera rete, assimilandola a quella di Etihad che è ai vertici delle classifiche mondiali. Hogan ha detto chiaramente che i concorrenti di Etihad non sono le compagnie europee, ma le cugine del Golfo, Qatar ed Emirates. Ieri il confronto sindacale su Alitalia è ripreso tiepidamente. Marco Veneziani (Uilt) ha detto che Etihad è in cerca di 500 piloti, quindi per i 122 di troppo in Alitalia non ci sarà problema.
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