Fca Us, la divisione americana di Fiat Chrysler Automobiles, si tira fuori e precisa di «non usare il defeat device », il software che ha permesso a Volkswagen di barare mostrando, in fase di test, livelli di emissioni inferiori a quelli reali. In una nota, il gruppo spiega di «lavorare da vicino e continuamente con Epa, l'Agenzia Usa per la protezione ambientale che venerdì scorso ha messo pesantemente nel mirino il colosso di Wolfsburg, e Carb, il California Air Resources Board, per garantire che i suoi veicoli siano rispettosi di tutti i requisiti richiesti».
In Italia, intanto, il «Dieselgate» scatenato dal Gruppo Volkswagen è piombato sull'intero comparto nel momento in cui, con grande fatica, si sta risollevando dalla lunga crisi. E proprio sui valori delle emissioni, il settore ha puntato per invogliare l'acquirente a cambiare l'automobile, ottenendo un forte sconto su quella vecchia, con la possibilità di aggirare anche le limitazioni al traffico. Promozioni, bonus, finanziamenti agevolati, optional quasi regalati sono stati messi in campo dai costruttori, con il contributo dei concessionari, per alzare l'asticella del mercato. La strategia ha funzionato: le vendite in Italia galoppano (+15% da gennaio ad agosto), anche se ancora lontane dai dati record, e lo stesso accade per l'Europa (+8,6% negli otto mesi).
La domanda che ora le Case automobilistiche che operano in Italia è però la seguente: il «Dieselgate» che impatto avrà? E tenendo conto che le automobili a gasolio rappresentano quasi il 56% delle immatricolazioni, c'è il pericolo di un disamore verso questa motorizzazione, facendo di tutta l'erba un fascio? Le amministrazioni comunali ne approfitteranno per limitare ulteriormente l'ingresso dei veicoli nelle cerchie urbane, sfruttando l'occasione per fare ancora una volta cassa? Le associazioni di categoria, Unrae (importatori), Anfia (filiera nazionale) e Federauto (concessionari) hanno scelto la strada del silenzio.
A sbilanciarsi è un dealer del Gruppo Volkswagen il quale, venuto a conoscenza del mea culpa recitato questa volta dal responsabile della Casa automobilistica negli Usa, Michael Horn («siamo stati disonesti e abbiamo rovinato tutto»), afferma: «La nostra marca ha impostato il suo lavoro sui valori etici e ora il manager americano fa una dichiarazione in senso contrario. A questo punto è logico porsi più di una domanda. E il dubbio che si insinua è se le macchine Euro 6 che vendiamo sono veramente Euro 6».
Preoccupazione c'è anche tra i componentisti, le tante aziende dell'indotto che riforniscono i costruttori di tutto il mondo. Il Gruppo Volkswagen al riguardo, è un ottimo cliente, vitale per alcuni. «Investiremo qui in Italia oltre 900 milioni di euro entro il 2018, ai quali vanno aggiunti 1,4 miliardi annui per acquisti e componenti», aveva detto Rupert Stadler, numero uno di Audi Group (galassia Volkswagen), lo scorso dicembre durante un evento a Milano. «Il nostro timore - confessa un imprenditore dell'indotto - è che, a questo punto, ci vada di mezzo anche chi non ha alcuna colpa. Un eventuale ridimensionamento della produzione da parte dei tedeschi avrebbe un impatto non indifferente sul business della componentistica. E le conseguenze sono immaginabili».
Tra i tanti marchi della galassia di Wolfsburg, è comunque quello di Volkswagen a essere nell'occhio del ciclone,
visti i modelli coinvolti. «Questo vuol dire - spiega un osservatore - che in Italia, in caso di un loro impatto negativo, ci sarà una compensazione a favore degli altri brand. Sostanzialmente non vedo allarmi particolari».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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