Forse ci sarà prima il faccia a faccia col governo, ma la data del confronto tra Sergio Marchionne e i sindacati è già fissata per il 30 ottobre, subito dopo l'annuncio sulla revisione degli obiettivi finanziari fino al 2014. All'incontro si arriverà in un clima reso arroventato dalla decisione del Lingotto di stracciare l'impegno da 20 miliardi di euro legato al progetto Fabbrica Italia. Una rottamazione, quella del piano, che potrebbe preludere - è il timore di molti - alla chiusura di qualche impianto e al taglio di migliaia di lavoratori. Negli ultimi giorni, nonostante l'infuriare delle polemiche, il manager italo-canadese si è imposto la consegna del silenzio: sia lui, sia il gruppo torinese, non hanno voluto replicare alle accuse al vetriolo di Diego Della Valle sui «furbetti cosmopoliti» e a quelle di Cesare Romiti, secondo cui un'azienda che «smette di progettare è finita».
Il mutismo di Marchionne si contrappone al profluvio di parole che provengono dalle sponde della politica e del sindacato. Identiche le preoccupazioni, con il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, che chiede a Torino di dire ciò che intende fare: «Siamo stati del tutto consenzienti ad assicurare condizioni di gestione del lavoro che consentissero di affrontare la concorrenza mondiale, ma fra gli obiettivi di questa scelta c'era anche quello di mantenere decisive fabbriche in Italia». Ma il nodo-Fiat rischia di scavare un solco ancora più profondo tra la Cgil da una parte e Cisl e Uil dall'altra. L'invito di Susanna Camusso a trovare una linea condivisa è caduto nel vuoto. E ancor più la sua richiesta ai colleghi di recitare il mea culpa, cioè di smetterla di «difendere un'intesa sbagliata (quella su Pomigliano, ndr)». «Non mi pento del sì per Pomigliano, ma voglio vedere i piani», dice il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni. Anche Luigi Angeletti ignora la sollecitazione cigiellina all'unità e sposta il tiro laddove c'è il cuore del problema: «Un calo della produzione è inaccettabile - mette in chiaro il segretario generale della Uil - . La Fiat ce la può fare, ma ci deve credere. Deve continuare a fare investimenti». Replica della Camusso: «Il tema non è il calo di produzione che riguarda tutti, il tema è che non c'è alcuna politica industriale. I metalmeccanici uniti riaprano il confronto con azienda e governo».
Posizioni dunque ben distanti. Anche perchè dall'ala metalmeccanica della stessa Uil arrivano le bordate più decise contro la Cgil: «Quello che vuole la Camusso è solo la chiusura di qualche stabilimento», tuona Rocco Palombella della Uilm. «In troppi sembrano ansiosi di celebrare il funerale della Fiat, ma il ridimensionamento degli investimenti sugli stabilimenti italiani è inaccettabile», aggiunge Giuseppe Farina (Fim-Cisl). Cerca di metter pace Giovanni Centrella (Ugl): «Dividersi ora tra sindacati o attaccare Fiat non ha alcun senso - afferma - . Dobbiamo tutti imparare a capire che a dettare le regole è il mercato e gli errori commessi vanno subito corretti con il massimo spirito di collaborazione tra tutte le parti in causa».
Insomma, par di capire che nessuno - Cgil a parte - voglia gettar a priori la croce addosso a Marchionne. La situazione economica, del resto, è radicalmente cambiata rispetto al 2010, quando Fiat presentò il progetto Fabbrica Italia e contava di produrre 1.400mila auto sul territorio nazionale. Uno sforzo garantito assegnando a Mirafiori (Torino) un aumento della produzione di circa 100mila vetture, a Melfi di 400mila e a Pomigliano di 250mila, mentre a Cassino i volumi sarebbero stati quasi quadruplicati.
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