Ilva, l'Europa "espelle" Marcegaglia

L'Antritrust chiede al gruppo italiano di uscire dalla cordata con l'indiana Arcelor

Ilva, l'Europa "espelle" Marcegaglia

L'Unione europea mette il gruppo Marcegaglia alla porta. Nella partita per la vendita e il salvataggio dell'Ilva la società dell'ex presidente di Confindustria non potrà più esserci. Secondo indiscrezioni, sarebbe questa una delle condizioni richieste dall'Antitrust europeo per poter dare il proprio via libera alla cessione-salvataggio del polo siderurgico tarantino.

A stretto giro, dunque, Marcegaglia (socio con il 15%) dovrà abbandonare la cordata Am Investco che si è aggiudicata il destino del gruppo lasciando, di fatto, ai franco-indiani di ArcelorMittal (85%) mano libera e totale controllo. Fuori Marcegaglia - che per ora non commenta «per rispetto della delicatezza della procedura» - l'unica «presenza» italiana è ancora tutta da verificare. Intesa Sanpaolo, che sarebbe pronta a entrare con una quota intorno al 5%, è infatti formalmente fuori dalla cordata in attesa del definirsi dell'accordo sindacale e ambientale, nonché dei via libera Antitrust. Inoltre è un socio prettamente finanziario che poco potrà dire sulle scelte industriali. Ma perché Marcegaglia è obbligata al passo indietro? La Commissione Ue, che lo scorso 8 novembre ha aperto un'indagine sull'operazione, non ha voluto per ora commentare le indiscrezioni. Ma Bruxelles teme una riduzione della concorrenza e un aumento dei prezzi per i prodotti piani di acciaio al carbonio laminati a caldo, a freddo e zincati utilizzati dalle imprese in vari settori, dall'edilizia, all'auto. La preoccupazione è che la restrizione della concorrenza possa portare, soprattutto per le pmi dell'Europa meridionale, un aumento dei prezzi.

Decisamente minori i timori di Bruxelles nei confronti di ArcelorMittal a cui sarebbe stato chiesto, sempre in nome della concorrenza, la cessione dell'impianto di Piombino. Una situazione complessa che apre ulteriori scenari su Taranto. E una serie di dossier collegati: a questo punto l'ingresso di Intesa Sanpaolo potrebbe infatti essere ridefinito rilevando anche la quota Marcegaglia. Inoltre, quest'ultimo, debitore del gruppo Ilva, dovrà ridefinire i rapporti finanziari con Taranto. Infine, l'uscita di scena di un «garante» italiano potrebbe richiamare in causa un coinvolgimento della Cdp.

Sullo sfondo restano poi le partite chiave, oltre al capitolo industriale, il confronto tra Ilva e Commissione resta aperto anche sul fronte ambientale. Mentre potrebbe essere presto chiusa la procedura che riguarda i fondi messi a disposizione dalla Stato per il risanamento dell'area. Nuove perplessità sarebbero sorte a Bruxelles riguardo al piano di bonifica che verrebbe applicato su un arco di cinque anni, un periodo troppo esteso per porre fine a una situazione ritenuta critica non solo dagli ambientalisti e dai cittadini di Taranto. Il piano di Arcelor, illustrato la settimana scorsa ai sindacati, prevede investimenti per 1,15 miliardi, di cui circa 750 milioni nei primi tre anni e il resto nei tre anni successivi, per il risanamento ambientale dell'impianto siderurgico tarantino. Circa 300 milioni saranno destinati alla copertura dei parchi minerali. La parte più significativa degli interventi ambientali dovrebbe essere ultimata solo nel 2021. In merito ai prossimi appuntamenti, la decisione di spacchettare la vertenza Ilva in più tavoli per gli enti locali ha aperto un nuovo calendario.

Domani (22 novembre) ci sarà l'audizione dei vertici di ArcelorMittal alla Commissione industria del Senato, poi, il 27 e il 28 novembre tornerà il confronto sindacale con l'amministrazione straordinaria su tutti i temi aperti, dal piano industriale a quello ambientale.

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