Industria in affanno: in quattro anni addio al 25% di produzione

Eccolo qui, il ritratto dell'industria italiana nell'anno di (dis)grazia 2012, un incubo durato 12 mesi e continuamente alimentato dalla crisi, dagli ordini sempre più scarsi, dal credito sempre meno facile e dalle tasse sempre più pressanti. Le cifre diffuse ieri dall'Istat sono da brivido. È un ritorno al passato brutale: basti pensare che la quantità di beni usciti dalle fabbriche è piombata ai livelli del 1990. Un salto indietro di ben 22 anni che fa il paio con il crollo della produzione pari al 6,7% rispetto al 2011, la peggior variazione annua dal 2009. Alle ferite che hanno segnato il corpo del tessuto industriale italiano a partire dalla crisi del 2008 dei mutui subprime, si sono insomma aggiunte altre lacerazioni profonde. Al punto che i livelli produttivi sono calati negli ultimi quattro anni e mezzo del 25%.
Un bollettino di guerra. In fondo, c'era da aspettarselo considerato che «ogni minuto muore un'azienda», per citare il recente slogan-necrologio di Rete Imprese, e che le grandi industrie lavorano a scartamento ridotto, facendo largo uso della cassa integrazione per far fronte a una domanda che non c'è. Non è infatti certo casuale il crollo subìto nel 2012 dalla produzione di autoveicoli (-19,5%), una contrazione che è il condensato dell'anno di passione vissuto da Fiat in Italia a causa della retromarcia delle immatricolazioni. E segnali inequivocabili di sofferenza arrivano anche dalla imprese, spesso vere e proprie eccellenze a livello internazionale, rappresentate dall'Anie: l'elettrotecnica ha accusato un -10% annuo e l'elettronica un -3% per cento.
Se è vero che la discesa complessiva della produzione è dovuta in parte al rallentamento dell'economia globale, è fuor di dubbio che a giocare un ruolo determinante sia stata la picchiata dei consumi interni. E qui, ancora una volta, va chiamata in causa la politica di austerità adottata dal governo Monti con lo scopo dichiarato di rimettere in carreggiata i conti pubblici. Inutile dire se l'obiettivo sia stato centrato. Di sicuro, il diluvio di imposte e tasse ha finito per prosciugare il potere d'acquisto degli italiani, via via diminuendone la capacità di spesa. Con il risultato di indebolire ulteriormente un tessuto produttivo considerato da molti imprenditori già sotto stress a causa del credit crunch. Un'accusa che, tuttavia, viene respinta dai banchieri. «Dal 1998 ad oggi - ha detto ieri il direttore generale di Abi, Giovanni Sabatini -, l'andamento dello stock credito erogato è passato da 100 a 175, mentre l'andamento della produzione industriale è passato dai 100 del 1998 a 85 di oggi. Questo credito che è stato erogato dalle banche che cosa è servito a finanziare? - si è chiesto Sabatini - . Questo è un problema sottostimato da 15 anni. Le nostre imprese non hanno usato il credito per investire e ristrutturarsi».
In ogni caso, i margini della ripresa produttiva appaiono ristretti. Poco importa se nel solo mese di dicembre l'indice destagionalizzato della produzione è aumentato dello 0,4% rispetto a novembre. La Confindustria, pur prevedendo un miglioramento in gennaio dello 0,2% rispetto al mese prima, mette subito le mani avanti: «Si delinea per il primo trimestre 2013 una sostanziale debolezza dell'attività, dopo il calo del 2,2% registrato nel quarto 2012».

Nulla sembra dunque destinato a cambiare. Non almeno nel breve periodo. Le previsioni sulla crescita del Pil per il 2013 non sono d'altra parte incoraggianti. La Confindustria prevede un calo dello 0,6%, Bankitalia dell'1% e il governo dello 0,2 per cento.

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