Gli italiani non spendono: l'inflazione cala allo 0,4%

Gli italiani non spendono: l'inflazione cala allo 0,4%

Se non erano bastate le campagne di sensibilizzazione e le scritte intimidatorie, ci ha pensato la crisi a far smettere di fumare molti italiani. Altro che agopuntura: meno soldi in tasca, e il vizio per le «bionde» evapora. Ne sanno qualcosa le casse dello Stato, già orfane lo scorso anno di quasi mezzo miliardo di euro dal gettito derivante dai tabacchi. Colpa del rincaro dell'Iva (che agisce anche sulle accise, così come per i carburanti) e colpa della recessione, i due maggiori responsabili della minor domanda (il terzo è la sigaretta elettronica). Questo fenomeno ha avuto un altro effetto collaterale: il calo dei prezzi del pacchetto, scesi in marzo dello 0,5%. Non accadeva dal gennaio 2002. Ciò ha contribuito ad alimentare quella tendenza deflazionistica ben visibile nel complesso dei prezzi al consumo, cresciuti questo mese appena dello 0,4 su base annua (minimo dal 2009) dallo 0,5% di febbraio.
È comunque l'intera eurozona a essere risucchiata in questa spirale di prezzi calanti (+0,5% in marzo) che rischia di stoppare una ripresa fragile e di allargare la piaga della disoccupazione. Il Fondo monetario internazionale continua a soffiare sul collo della Bce, invitandola a muoversi: «Non siamo tanto preoccupati per la deflazione - spiega Reza Moghadam, direttore del dipartimento europeo del Fmi - quanto della cosiddetta bassa inflazione. C'è spazio - aggiunge Moghadam - per un ulteriore allentamento da parte della Bce». Ma davvero Mario Draghi, nella riunione di giovedì prossimo, ascolterà i richiami dell'organismo guidato da Christine Lagarde, forte anche delle aperture in chiave espansiva del numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann? Oppure l'inazione dell'Eurotower è destinata a proseguire mentre Janet Yellen, presidente della Fed, ha spiegato che l'economia Usa, ben più forte di quella europea, ha ancora «bisogno di aiuti straordinari»? Molti analisti sono convinti che dopodomani non saranno decise nè modifiche al tasso di riferimento (allo 0,25% dal novembre scorso), nè nuove misure non convenzionali di sostegno all'economia. Ogni decisione sarà rimandata a maggio-giugno, quando il costo del denaro potrebbe essere tagliato. Il motivo? Il dato sull'inflazione di marzo, distorto dalla Pasqua «tardiva» di quest'anno che porterà probabilmente a un rimbalzo in aprile. Il raffreddamento, insomma, sarebbe temporaneo.
Ci sono, tuttavia, un paio di problemi che Draghi non può sottovalutare. Il primo è legato alla robustezza dell'euro, tra le cause della discesa dei prezzi. Un mancato intervento da parte dell'istituto di Francoforte si tradurrebbe in un ulteriore rafforzamento.

Sul nodo valutario, dunque, Draghi dovrà prendere una posizione molto chiara. L'altro problema riguarda le attese dei mercati, che da qualche settimana hanno scommesso su misure di allentamento quantitativo. Un altro nulla di fatto non sarebbe ben digerito.

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