Antonio Patuelli prepara il terreno per il suo prossimo biennio al vertice dell'Abi. Che si preannuncia tempestoso. Il presidente dell'associazione delle banche italiane, succeduto a Giuseppe Mussari a gennaio, come prevede il nuovo statuto verrà confermato in primavera per il biennio, 2014-2016. Periodo che coinciderà con appuntamenti di fuoco per le banche italiane. A partire dall'entrata in vigore della vigilanza unica europea: i 15 maggiori istituti nazionali finiranno sotto la lente della Bce secondo regole che verranno decise in questi prossimi mesi. E sulle quali, soprattutto la classificazione dei crediti, si sta giocando una battaglia epocale. Specie con le banche tedesche.
Patuelli, insieme con lo stato maggiore dell'Abi, lo ha chiarito nel seminario annuale con la stampa, organizzato nella sede della Fondazione della sua Ravenna. Lanciando un messaggio preciso: «L'unione bancaria non è una variabile indipendente, avrà il peso che hanno avuto le unioni monetaria con l'euro e doganale con Schengen». Non sarà semplice, con rischi e opportunità: «La potenzialità sarà quella di far rientrare anche il nostro Mezzogiorno nell'integrazione europea; il rischio sarà quello di diventare noi il Mezzogiorno d'Europa».
L'ex deputato liberale approfitta dell'esperienza politica per schierare le banche italiane, soggetti presi regolarmente di mira dall'inizio della crisi, dalla parte del giusto. Così nessun dubbio che le nostre banche si presenteranno all'appuntamento dell'unione bancaria come le più virtuose, grazie alla cura da cavallo sulla valutazione degli asset imposta da Bankitalia da un anno a questa parte. Dopodiché non si può dimenticare il problema maggiore: le sofferenze, i crediti inesigibili, arrivati a quota 145 miliardi, raddoppiati negli ultimi 3 anni. E su questo Patuelli ci ha tenuto a sottolineare che di 1,1 milioni di posizioni in sofferenza, ben l'84% riguarda prestiti inferiori ai 125mila euro. Il 15% è fino ai 25 milioni e solo 397 sono gli affidati in sofferenza con debito sopra i 25 milioni. Dati forniti per sfatare la vulgata che vuole le banche disattente soprattutto con i grandi gruppi o le conventicole legate ad amici e azionisti vari. «Questi dati - dice Patuelli - ci dicono il contrario: ci troviamo di fronte a un fenomeno dal grave impatto sociale». In verità gli stessi intervalli, se calcolati per valore, danno risultati diversi: la fascia fino a 125mila pesa il 15,6% del totale; quella intermedia fa la parte di gigante con il 72,7%; Mentre i 397 superdebitori pesano da soli per l'11,7%, che non è poco. Quindi un po' di vero, nella vulgata, c'è. Ma che il fenomeno delle sofferenze dei piccolie sia una piaga sociale lo è altrettanto.
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