Non appena ha preso visione dell'andamento del mercato del lavoro Usa in luglio, con quei 209mila nuovi posti creati e il tasso di disoccupazione sceso al 4,3%, Donald Trump se ne è subito attribuito il merito: «Numeri del lavoro eccellenti. E ho appena iniziato», ha cinguettato il presidente americano. In realtà non ci sarebbe molto da esultare. Soprattutto perchè nel manifatturiero, settore che più avrebbe dovuto beneficiare dell'America First trumpiano e dei rigurgiti di protezionismo, le assunzioni stentano a decollare a causa dell'atteggiamento prudente assunto dall'industria automobilistica e petrolifera.
Il Paese resta invece ostaggio delle solite logiche occupazionali, quelle dove se appena alzi il tappeto appare la polvere. Per quanto nettamente superiori alle previsioni, i 209mila new job sono infatti il frutto di un'elementare operazione aritmetica: ai 393mila posti part-time dell'ultima infornata vanno sottratti i 54mila a tempo pieno evaporati. Insomma: sempre più precari e sempre meno posti da capofamiglia, quelli con stipendi che assicurano capacità di spesa. Ennesima prova, il fatto che tra i nuovi lavoratori a tempo parziale figura senz'altro un'ampia fetta dei 53mila tra baristi e camerieri che il mese scorso hanno trovato un impiego. Andando a ingrossare le fila di un esercito che dalla bellezza di 89 mesi non conosce rallentamenti in termini numerici, nonostante il comparto sia quello che meno remunera i lavoratori (13,3 dollari l'ora). È anche attraverso questa mutazione genetica del mercato del lavoro, destinata a proseguire anche grazie alle 100mila assunzioni che Amazon intende effettuare entro il 2018, che gli Stati Uniti hanno ottenuto un saldo positivo tra assunzioni e licenziamenti praticamente ogni mese dall'ottobre 2010, riuscendo così a riassorbire i quasi 16 milioni di posti andati in fumo durante la recessione.
Eppure, anche il dato grezzo dei 209mila nuovi posti creati non dovrebbe essere sufficiente per convincere la Federal Reserve ad anticipare già a settembre il terzo rialzo dei tassi 2017. I salari orari sono aumentati leggermente più delle attese (+0,34%), ma non abbastanza per portare gli investitori a preoccuparsi di un aumento dell'inflazione, da tempo in stallo.
Inoltre, il mese prossimo l'istituto guidato da Janet Yellen dovrebbe concentrarsi sui dettagli necessari per avviare la riduzione del suo bilancio. Insomma, resta ancora dicembre il periodo più favorevole per decidere l'ultima stretta dell'anno.
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