L'"Operazione Rex" e la fine della Montedison

Schimberni nel 1986 voleva acquistare una società negli States ma usò quei soldi per comprare la Fondiaria. Una sciagurata scelta che scardinò i fragili equilibri del gruppo, aprì le porte a Raul Gardini e creò le premesse per il disastro

L'"Operazione Rex" e la fine della Montedison

Ci fu un cambio di programmi d'investimento avvenuto improvvisamente, in corsa, senza un autentico perchè: la Montedison modificò il suo obiettivo e allo sbarco negli Stati Uniti, attraverso l'acquisizione della Revlon Pharma, preferì lo strappo in Italia, con la conquista corsara della Fondiaria. Fu una scelta tragica, della quale lo stesso artefice, Mario Schimberni, alla guida del gruppo chimico del 1977, fu la vittima, dovendo lasciare il suo posto; e che produsse crepe profonde negli equilibri del colosso di Foro Buonaparte, portando prima all'arrivo sprezzante di Raul Gardini e poi al disastro che tutti sappiamo. Quel momento di snodo fu nefasto; quell'acquisizione mancata che avrebbe irrobustito il gruppo Oltreoceano rafforzando le sue logiche industriali e i suoi mercati nel settore farmaceutico, ricco di profitti, segnò la sorte della chimica italiana. La vicenda finora è rimasta pressochè inedita. L'ha ricostruita, con ricchezza di particolari, Stefano Righi, giornalista del Corriere della Sera, nel suo libro “Reazione chimica” (Guerrini e associati, 162 pagine, 16,50 euro), dedicato alle vicende della chimica in Italia e realizzato grazie alle testimonianze di prima mano offerte da Renato Ugo, uno dei padri più illustri della ricerca chimica, all'epoca responsabile della ricerca del gruppo Montedison. Il progetto di sbarco in America doveva restare così segreto che gli fu anche dato un nome in codice: Operazione Rex, come il lussuoso e leggendario transaltantico italiano, vanto del fascismo, che però evocava anche un sinistro presagio: colò a picco in Istria colpito dalle bombe inglesi.

 

Bisogna fare qualche passo indietro. Neli anni Ottanta la Montedison, che in precedenza aveva perso centinaia di miliardi di lire all'anno, aveva messo i conti a posto e si era spinta negli Stati Uniti con una joint-venture nel polipropilene insieme alla Hercules, quotata a Wall Street. A Wall Street fu quotata anche la divisione farmaceutica Erbamont, che conteneva le attività della Farmitalia Carlo Erba: non era ancora l'epoca della grandi concentrazioni nel settore farmaceutico, ma Erbamont aveva comunque dimensioni di rilievo, per quanto non di primo piano, sul mercato mondiale. Intanto nel 1985 Schimberni si era trasformato a sorpresa in rider, strappando in Borsa la BiInvest alla famiglia Bonomi. Cosa che gli procurò un grande salto in termini di notorietà ma anche di approccio al business, catapultandosi dal mondo dell'industria a quello della finanza.

 

Ma la mossa successiva - era l'inizio del 1986 - fu puntata sulla crescita di Erbamont. Ci furono - secondo le testimonianze di Renato Ugo - ragionamenti molto approfonditi e si decise di effettuare un'acquisizione negli Stati Uniti. Fu definito l'obbiettivo: una società farmaceutica di dimensioni importanti ma possibilmente non autonoma, parte cioè di un gruppo diversificato, e quindi più facilmente conquistabile. Le analisi furono minuzione e fu individuata la Revlon Pharma, società farmaceutica controllata dall'omonimo colosso della cosmesi per il quale rappresentava una semplice diversificazione. La società era quotata a New York, avrebbe permesso a Erbamont di raggiungere una massa critica di 700 milioni di dollari di fatturato annuo e conteneva nel suo portafoglio alcuni prodotti grandi generatori di cassa: il Maalox sopra tutti. Montedison rastrellò silenziosamente sul mercato il 4,99% del capitale di Relon Pharma, fermandosi alla soglia dell'obbligo di comunicazioni al mercato. Poi furono avviate relazioni diplomatiche con i vertici di Revlon; gli italiani non intendevano esporsi con mosse aggressive, ma arrivare all'acquisizione con il consenso delle controparti. E ottennero l'assenso sia di Revlon alla cessione del proprio pacchetto, sia di Dow Chemical, altro grande azionista: già con queste operazioni Montedison sarebbe arrivata al 29%, a ridosso del 30% che fa scattare l'Opa obbligatoria.

 

L'Operazione Rex, condotta in maniera lineare e con forti motivazioni industriali, era ormai prossima ad andare in porto. Furono anche fatte confluire alla Montedison International le disponibilità bancarie per chiudere rapidamente il tutto. L'entusiasmo di chi aveva lavorato al progetto era alle stelle. Era la fine di maggio del 1986, e il Maalox stava per diventare italiano.

 

Fu qualche settimana dopo che Schimberni incontrando Ugo, che dell'Operazione Rex era stato uno degli artefici, gli disse stranamente: “Professore, la vedo un po' stanco, perchè non si prende una vacanza?”. Ugo, stupito ma non preoccupato, si trasferì alle Eolie e fu lì che nei giorni successivi lesse sui giornali che la Montedison era salita al controllo della compagnia assicurativa Fondiaria, della quale già deteneva il 25% trovato nel patrimonio della BiInvest. Ugo si precipitò a Milano, cercò Schimberni e gli chiese: “Ma allora, l'operazione Rex?”. “Non si fa più” fu la risposta lapidaria. I soldi erano gli stessi, l'obbiettivo dell'investimento era cambiato repentinamente e inaspettatamente.

 

Molti forse ricorderanno che cosa comportò tutto questo: Schimberni, reo del secondo sgarbo finanziario all'establishement di allora, fu scaricato dal sistema. L'azionariato Montedison, che fino a quel punto di era retto su equilibri fragili e sull'illusione di essere una public company, rivelò la sua debolezza e la società fu scalata da Raul Gardini. Il gruppo, sotto l'influenza di questi, inseguì strategie che si rivelarono inconsistenti, s'imbarcò in quel braccio di ferro che prese il nome di Enimont, e alla fine franò rovinosamente sotto alle spericolatezze finanziarie del nuovo azionista. Il quale, a sua volta, fece una fine ingloriosa.

 

Ma che cosa spinse Schimberni a tradire la vocazione industriale di Montedison? Righi nella sua bella ricostruzione non dà una risposta certa. La versione ufficiale è quella data dallo stesso Schimberni a Ugo “a caldo”: “Ci sono stati sanguinari attentati libici a Roma, all'aeroporto di Fiumicino e al Café de Paris: siamo visti come un Paese vicino agli americani e l'Operazione Rex ci avrebbe messo ancora più in difficoltà”. Equilibri internazionali? Pressioni del governo? Non si sa. Un'altra ipotesi è più legata alla metamorfosi di mentalità provocata in Schimberni dalla conquista di BiInvest nel 1985: la finanza è una febbre che con i suoi successi può accecare anche gli industriali più composti.

Infine, un'altra supposizione contenuta nel libro: forse l'idea di abbandonare la strada dell'internalizzazione e di puntare tutto su Fondiaria e sul teatrino del potere italiano potrebbe essere stata di Giuseppe Garofano, un uomo - scrive Righi - “che poi lavorò con Gardini, navigò i mari turbolenti di Tangentopoli facendosi arrestare il 13 luglio del 1993 a Ginevra per poi riemergere più avanti, dando sempre, a chiunque avesse di fronte, la sensazione di sapere una cosa in più e di avere una possibilità in più, di guadagnare, di scappare, di salvarsi”.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica