Marchionne non tifa Trump: "Canada e Messico a rischio"

L'ad di Fca: se il miliardario vince è la fine del Nafta. E il gruppo dovrebbe rivedere le strategie nei due Paesi

Marchionne non tifa Trump: "Canada e Messico a rischio"

Non c'è solo la stagione di Ferrari in F1 a preoccupare, in questo momento, Sergio Marchionne. Sono due gli eventi, uno dei quali imminente, a minacciare drastici cambi di rotta per il settore dell'auto, anche se tutto dipenderà dell'esito del voto. Marchionne guarda all'ipotesi Brexit («un rischio enorme per l'Europa») e, soprattutto, alla possibilità che un successo di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, significhi l'inizio della fine del Nafta, il patto di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico (North American Trade Agreement) entrato in vigore l'1 gennaio 1994.

Il candidato alla presidente degli Usa si è infatti espresso più volte in una maniera molto negativa sugli accordi che legano gli Usa con i due Paesi limitrofi. E se il processo disgregativo di Trump andasse in porto, le aziende che hanno investito in Messico (soprattutto) e in Canada sarebbero costrette, come ha anticipato Marchionne, «a un riallineamento delle attività produttive».

Mentre l'eventuale Brexit non impatterebbe sulla scelta di Fca di aver portato a Londra il domicilio fiscale (come già spiegato tempo fa dai vertici del Lingotto), l'uscita del Regno Unito dall'Ue (il referendum è alle porte) potrebbe aver ripercussioni sullo stabilimento, a Basildon, di Cnh Industrial, gruppo di cui Marchionne è presidente. Il top manager, che ha partecipato a Venezia all'annuale meeting Italia-Usa, ha spiegato in proposito che «ci sono già alternative; un sito parallelo esiste in Austria: tecnicamente può allargarsi e fare di più». Il Regno Unito, però, è un importante polo produttivo con una quindicina di Case auto (non c'è Fca), 6 studi di design, 13 centri di ricerca e sviluppo, oltre 100 aziende specializzate e perfino 7 costruttori di F1. Il tutto per un valore di 15 miliardi di sterline e 800mila occupati.

Negli Usa, intanto, Trump ha già commentato negativamente i recenti investimenti di Ford in Messico. Il suo proposito di interrompere gli accordi commerciali non sarà, comunque, così semplice da attuare, vista la storicità del Nafta. «Chiudere i confini - ha puntualizzato l'ad di Fca - avrebbe effetti significativi per entrambi i Paesi ed è antistorico. E per quanto riguarda il Canada, questo sarebbe anche più importante perché l'accordo sulle auto risale a 40-50 anni fa, molto prima del Nafta».

Fca ha due impianti in Messico: a Toluca, dove produce la Fiat 500 «americana» e il crossover Dodge (in Italia noto come Freemont); a Saltillo, dove nascono i grossi pick-up del gruppo e i motori a 8 cilindri. Il Paese centroamericano, grazie al basso costo del lavoro e ai tanti incentivi messi in campo dal governo, è la nuova Mecca del settore automobilistico e, di riflesso, della componentistica. La maggior parte delle industrie è ubicata non lontano dal confine con gli Usa, agevolando così l'export. Un provvedimento come quello palesato da Trump potrebbe costringere i gruppi a ripensare le strategie nell'area.

E il Paese andrebbe inevitabilmente in forte sofferenza. Il boom del Messico ha anche finito per penalizzare il Canada, dove Fca ha due fabbriche: a Windsor, dove si produce il minivan Chrysler Pacifica, oggetto dell'asse con Google, e a Brampton.

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