Nella speranza che il presidente Monti non si arrabbi e con l’intento costruttivo di stimolare il governo a fare meglio (anche a fare meglio i conti) ed eventualmente a correggere la sua linea di politica economica e soprattutto fiscale, mettiamo insieme le analisi più rilevanti condotte nell’ultimo mese da Corte dei Conti, Banca d’Italia ed Eurostat e i dati diffusi dallo stesso governo, con il contributo prezioso del ministero dell’Economia e delle Finanze e della Ragioneria generale dello Stato.
I professori del governo lo sanno. Lo hanno scritto essi stessi nel Documento di economia e finanza (Def) 2012, approvato dal Consiglio dei ministri il 18 aprile e dal Parlamento il 26 aprile: la loro manovra di finanza pubblica, il Decreto cosiddetto «Salva-Italia», comporterà, nel triennio 2012-2014, una riduzione del Pil dello 0,6%; un calo dei consumi privati dell’1% e una caduta dell’occupazione dello 0,4%. Il tutto condito da un aumento dell’inflazione dello 0,8%.
Questo perché - cito il Rapporto 2012 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica presentato il 5 giugno - l’onere dell’aggiustamento dei conti si è concentrato in larga parte sul versante delle entrate, piuttosto che incidere sui fattori che bloccano la crescita, trasmettendo impulsi recessivi all’economia reale.
Tale linea di politica fiscale adottata dal governo ha avuto ricadute limitate nel 2011, quando il livello di pressione fiscale (42,5%) è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente, ma manifesterà i suoi effetti nel 2012, quando raggiungerà il 45,1%, e nel 2013, previsto al 45,4%. Dati desunti dal Def 2012, che si potrebbero tuttavia rivelare sottostimati di fronte al rischio di un ristagno del Pil e dell’ampliamento della leva fiscale a disposizione di regioni ed enti locali.
Infatti, per Banca d’Italia - Relazione annuale sul 2011, 31 maggio 2012 - il dato sulla pressione fiscale raggiunge livelli più alti ed è stimata, per il 2012, al 49,2%. Si accresce, in tal modo, il divario tra l’Italia e il resto d’Europa. Perché, mentre nei principali Paesi europei nell’ultimo decennio la pressione fiscale si è ridotta o è rimasta sostanzialmente stabile, nello stesso arco temporale la pressione fiscale in Italia è aumentata dell’1,5%. Restando in un contesto europeo, ma facendo un piccolo salto indietro al 2010, lo studio condotto da Eurostat - Taxation trends in the European Union, diffuso il 21 maggio 2012 - colloca l’Italia al quinto posto tra i Paesi europei con pressione fiscale più alta: 42,3% rispetto a una media europea ponderata per il Pil del 38,4%. Il dato risulta ancora più significativo, direi allarmante, se confrontato con il 26,9% del Giappone e il 24,8% degli Stati Uniti. Quasi il doppio.
Di un ulteriore aumento il Paese non aveva assolutamente bisogno. La pressione fiscale ha raggiunto livelli insostenibili, e il primo a risentirne sarà proprio lo Stato. Più si aumentano le tasse, più diminuisce il reddito disponibile di famiglie e imprese, più si riduce il gettito. Sarà anche stata scritta su un tovagliolo, ma la curva di Laffer lo dimostra in modo chiaro ed efficace: mettendo in un grafico le aliquote fiscali sull’asse delle ascisse e il gettito per lo Stato su quello delle ordinate, all’aumentare delle prime diminuisce il secondo. Per due motivi: all’aumentare delle imposte aumenta la tendenza dei contribuenti all’evasione e all’elusione; e all’aumentare dell’imposta si riduce il beneficio di cui individui e imprese godono lavorando, per cui si produce meno, o si produce altrove. Arthur Laffer è un economista americano degli anni ’80, consigliere economico del presidente Ronald Reagan. La sua teoria non sempre è stata presa sul serio dagli ambienti accademici, ma i fatti hanno dimostrato che, a seguito dei provvedimenti di riduzione delle aliquote adottati dall’amministrazione Reagan, il gettito fiscale negli Stati Uniti si è ridotto nel breve periodo, ma è aumentato fortemente nel lungo termine.
I fatti hanno dimostrato quanto sostenuto da Laffer anche in Italia. Quest’anno. Proprio qualche giorno fa, il 5 giugno, la Ragioneria generale dello Stato e il dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia hanno pubblicato il Rapporto sulle entrate tributarie aggiornato ad aprile 2012. È emerso che, nonostante l’aumento della pressione fiscale e nonostante il fisco spettacolo, il gettito per lo Stato è rimasto invariato: 111 miliardi gli incassi nel periodo gennaio-aprile 2011 e 111 miliardi gli incassi nello stesso periodo del 2012. Se vogliamo essere precisi, quest’anno sono entrati nelle casse dello Stato 240 milioni di euro in più. Che cosa in confronto ai sacrifici, al sangue, al sudore e alle lacrime richieste al Paese? Spiccioli.
La cifra è fin troppo risibile. Dimostra che la risposta dell’economia alla cura Monti è negativa. Il governo ha fatto overshooting e, sovradimensionando l’entità dei provvedimenti varati rispetto alla misura ottimale, ha compromesso il raggiungimento degli obiettivi. E gli effetti recessivi delle politiche economiche, in particolare fiscali, adottate dal governo da dicembre 2011 a oggi hanno avuto portata tale da annullare i risultati positivi attesi. C’è di più: ancora una volta il governo ha sbagliato a far di conto: il gettito registrato nei primi 4 mesi dell’anno è inferiore di 3,5 miliardi di euro (-2,9%) rispetto a quanto previsto dal Def.
Gli errori di calcolo, così come l’overshooting, si erano già verificati con la riforma delle pensioni, che ha prodotto trecentomila esodati, che ha avuto ripercussioni negative in tema di produttività dei lavoratori e di squilibri nei flussi in entrata e che ha creato una forte, anch’essa insostenibile, tensione sociale. E che pertanto dovrà essere corretta, con conseguenti aggravi per le finanze pubbliche. Si è ripetuto con il fisco.
Non solo. L’Imu, per esempio, oltre a comportare un insopportabile drenaggio del reddito disponibile delle famiglie, in particolare quelle monoreddito, degli anziani e della massa (oltre l’80%) dei proprietari di prime e di seconde case, non certamente ricchi, riduce il valore patrimoniale degli immobili da questi posseduti. Si stima circa il 20-30% in meno. E del 20-30% si riduce di conseguenza il merito di credito delle famiglie, che offrono, per effetto della riduzione del valore delle case, garanzie minori. Il gioco (al massacro) è presto fatto. Ricchezza bruciata. Per decreto.
Infine, la strategia di politica fiscale fatta propria dal governo Monti che, finalizzata all’equità e, in linea di principio, al superamento dell’alternatività fra rigore e crescita, doveva far leva su un alleggerimento del prelievo sui redditi da lavoro e da impresa, da trasferire sui consumi e sui patrimoni, ha invece portato a decisi aumenti impositivi su questi ultimi, ma non ad una altrettanto decisa riduzione del prelievo sugli altri versanti. Quello che era stato annunciato come uno «spostamento» si è dunque rivelato un mero aumento - per tutti - della pressione fiscale. Lo sostiene la Corte dei Conti. Sottoscrivo. Per tutta risposta, il governo minaccia di inasprire nei prossimi mesi controlli e lotta all’evasione fiscale, con relativo clima di sospetto e tensione sociale. E di aumentare a ottobre l’Iva.
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