Moody's falcia il rating della Banca Popolare di Milano. L'agenzia internazionale, che aveva messo sotto la lente d'ingrandimento il merito di credito dell'istituto di Piazza Meda lo scorso novembre scatenando l'ira dei vertici capitanati da Andrea Bonomi, ha sciolto la riserva e tagliato il giudizio da «Baa3» a «Ba3», ovvero sotto il livello di investiment grade. Piazza Meda rimane inoltre una sorvegliata speciale per una possibile ulteriore revisione al ribasso della valutazione.
La decisione ha messo in ginocchio il titolo della Bpm, vittima di una raffica di vendite a Piazza Affari (-3,54% a 0,44 euro), a fronte di un vortice di scambi che ha superato il 3,2% del capitale (oltre 105 milioni di pezzi). In particolare, la decisione di Moody's di abbassare il rating è motivata dal deterioramento della qualità del credito e dalla forte esposizione verso il mercato immobiliare ereditata dalle precedenti gestioni. Inoltre, pesano la pressione sull'utile che per Moody's dovrebbe persistere alla luce delle significative perdite registrate nell'ultimo biennio. Ma non finisce qui. L'agenzia di rating adesso avvierà una nuova riflessione per valutare un altro declassamento della Bpm. E sotto la lente adesso finiscono gli add-on imposti dalla Banca d'Italia in seguito alle ispezioni (ovvero i requisiti prudenziali aggiuntivi), l'aumento di capitale da 500 milioni per rimborsare i Tremonti bond e il piano di miglioramento della governance alla luce del passo indietro del presidente Andrea Bonomi sulla trasformazione in Spa. Insomma, se i fondamentali non miglioreranno e se la «cooperativa» non sarà in grado di aprirsi al mercato, l'agenzia di rating potrebbe usare nuovamemente la scure.
Eppure proprio ieri è stata scritta la parola «fine» sul progetto della spa ibrida. L'argomento è stato revocato dall'ordine del giorno dell'assemblea del 22 giugno.
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