«Un castello di bugie» quello messo in piedi dall'ex presidente del Monte Paschi, Giuseppe Mussari e dai suoi alleati: i pubblici ministeri Giuseppe Grosso, Aldo Natalini e Antonio Nastasi hanno chiesto la condanna a sette anni di prigione per il banchiere (che è stato anche presidente dell'Abi) nel processo sul derivato Alexandria. La richiesta per l'ex capo della finanza di Mps, Gianluca Baldassari e per l'ex direttore generale, Antonio Vigni, è invece di sei anni a testa.
Anche Banca d'Italia, che è parte civile, ha chiesto il risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniale.
«Temevo, anzi mi aspettavo la richiesta di condanna al rogo. Poi mi sono ricordato che la pena di morte è stata abolita», ha commentato caustico il legale di Mussari.
Non vale secondo la pubblica accusa la tesi che Baldassarri abbia fatto tutto da solo per spartirsi la torta con la banca d'affari giapponese Nomura; «In quel caso non avrebbe avuto interesse a celare il mandante». Invece «la radice del vero interesse a celare è altrove, è nei vertici dell'istituto. Il padre padrone di quella banca, il dominus incontrastato era Mussari. Quello che in una notte decise di impegnare la banca per 17 miliardi», aggiunge Grosso, con riferimento alla decisione presa da Mussari in solitaria di acquisire Antonveneta dagli spagnoli del Santader nel novembre del 2007. «Baldassarri è solo il braccio esecutivo dell'operazione - aggiunge Grosso - l'uomo giusto al posto giusto» per fare quella operazione. «In questo castello di bugie - aggiunge il pm - c'è una linea comune ai tre ed è la più abbietta: scaricare sugli altri le responsabilità e non tra di loro perché così fanno i correi». Il pubblico ministero ricorda l'espressione utilizzata da Mussari nel dibattimento «Io Maramaldo no», per dire che non accusava nessuno. Secondo il magistrato, invece, «maramaldi tutti perché hanno infierito sul più debole», cercando di tirare in ballo un dirigente di Rocca Salimbeni.
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