Nella guerra delle monete Draghi sta con la Germania

Tanto per essere chiari, il livello dell'euro «non è un obiettivo della politica monetaria» della Bce. Immaginare Mario Draghi nella versione reloaded del pilatesco «me ne lavo le mani» sarebbe già di per sè sbagliato. Alla luce della querelle tra Parigi e Germania sull'ipertrofia della moneta unica, le parole spese ieri dal presidente della banca centrale corrispondono, semmai, a una precisa scelta di campo. Ovviamente, molto vicina al laissez faire della Cancelliera Merkel e assai distante dalle pretese francesi d'interventismo. Di più. Pur senza mai nominarlo, Draghi ha invitato François Hollande a non chiamare all'armi, nella guerra valutaria in atto, la Bce che «è indipendente».
L'ex governatore di Bankitalia si schiera, rivendica il diritto all'autonomia, peraltro più volte richiamato nei momenti più drammatici della crisi del debito sovrano, dimostrando di non essere preoccupato per i recenti apprezzamenti dell'euro, «in un certo senso un segno di ritorno di fiducia», nè di considerare abnormi gli attuali rapporti di cambio se confrontati con le medie storiche. Insomma: nessun allarme, nessun pericolo che la rivalutazione eroda i margini di competitività conquistati a prezzo di forti sacrifici. Anche perchè, spiega il numero uno dell'Eurotower, l'epoca delle svalutazioni competitive è finita. Ora i movimenti valutari sono «l'effetto di politiche macroeconomiche con le quali si vuole far riprendere l'economia, di promesse di mantenere tassi bassi per molto tempo, dell'adozione di target di inflazione distanti dai tassi correnti».
Paradossalmente, sono state altre dichiarazioni di Draghi a indebolire ieri l'euro sotto la soglia di 1,34 dollari. Quelle sulla debolezza congiunturale dell'area, dove i rischi sulle prospettive economiche continuano a essere orientati al ribasso nonostante «il sostanziale miglioramento» negli ultimi sei mesi dei mercati finanziari». Alcune variabili possono condizionare la ripresa, collocata «più avanti nell'anno»: possibilità che la domanda interna e l'export vadano peggio del previsto; una lenta implementazione delle riforme strutturali (anche se le azioni intraprese dai governi «stanno dando i loro frutti»); i problemi geopolitici e gli squilibri dei maggiori Paesi industriali, che potrebbero avere un impatto sul mercato delle materie prime e finanziario. Con un simile scenario, e a fronte del crescente dei senza-lavoro e della difficoltà di accesso al credito di famiglie e imprese, la Bce è convinta che l'attuale strategia sia accomodante benchè non assimilabile a quella della Federal Reserve.

«Ma noi abbiamo una struttura istituzionale diversa - ha detto Draghi, secondo cui il consiglio direttivo sta «attuando politiche atte a promuovere la stabilità dei prezzi e la crescita dell'occupazione». Ma per quanto riguarda i tassi, la Bce tiene ancora in canna un eventuale taglio. Il costo del denaro è rimasto inchiodato anche ieri allo 0,75%, con decisione presa all'unanimità.

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