I falchi della Bce si sono forse messi tra le mura domestiche un cavallo di Troia. Per mesi, hanno fatto pressioni su Mario Draghi affinchè cominciasse a prendere in considerazione sia l'idea di rottamare l'armamentario del quantitative easing, sia l'ipotesi di abbandonare la sponda dei tassi a zero. «L'inflazione - era la giustificazione - ha ormai raggiunto i nostri target». Pare non sia proprio così, secondo Bloomberg. Alcune fonti dell'Eurotower hanno infatti rivelato che oggi a Tallin, dove si chiuderanno i lavori del consiglio direttivo, la banca centrale ritoccherà al ribasso le stime sui prezzi al consumo, collocati all'1,5% per tutti e tre gli anni 2017-2018-2019. Il motivo? Il raffreddamento delle quotazioni energetiche. Nulla di sorprendente, basta solo dare un'occhiata all'andamento del petrolio. Del resto, da mesi, Draghi andava ripetendo che le più recenti fiammate inflazionistiche erano «drogate» da fattori temporanei riconducibili ai prezzi dell'energia.
Rivedere l'outlook sull'inflazione è un fatto tutt'altro che marginale, proprio perché ha implicazioni sul processo di normalizzazione della politica monetaria. Una correlazione subito registrata ieri dai mercati valutari, con l'euro scivolato a 1,12 dollari e ai minimi da aprile sullo yen. Prezzi meno surriscaldati rendono infatti meno urgente scodellare sul tavolo quel piatto indigesto chiamato tapering, ovvero la ritirata dalle misure straordinarie di stimolo. Dalle ultime dichiarazioni rilasciate, Draghi pare intenzionato a lasciar le bocce ferme fino a dicembre. Ciò significa continuare ad acquistare titoli per un controvalore mensile pari a 60 miliardi di euro e mantenere a zero il tasso di riferimento e a -0,40% quello sui depositi presso la Bce.
Eppure, l'attesa per il comunicato ufficiale che uscirà dall'Eurotower al termine della riunione è altissima. Per aprire nuovi scenari, basterà anche solo un minimo scarto dal lessico abituale. La rimozione del passaggio, più volte ripetuto nel corso degli ultimi mesi, secondo cui i tassi potranno anche essere più bassi, darebbe per esempio un'indicazione chiara che, d'ora in poi, il costo del denaro non potrà che crescere. Il secondo punto sotto osservazione sarà qualsiasi riferimento al tempo che trascorrerà fra la fine del QE e il primo aumento dei tassi; infine, la conferma o meno del bias a favore di un possibile aumento del programma di acquisto in bond in termini di quantità o durata qualora le condizioni dovessero richiederlo.
Assodato che l'istituto di Francoforte continuerà a muoversi con estrema prudenza, non vi è nulla di scontato sulle decisioni che saranno prese oggi.
Un'inflazione sotto controllo potrebbe del resto essere controbilanciata da una crescita economica più sostenuta del previsto, tale da sconsigliare di insistere con gli aiuti. Il nodo è sempre lo stesso: quando cominciare e in che modo comunicarlo ai mercati.
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