Alessandro Foti è conosciuto per aver ideato e fondato nel 1999 Fineco, una fintech ante litteram. Ma anche per essere uno sportivo che, dallo sci «d'alpinismo, alla vela in alto mare», non teme fatica e avventura. Quindi il fatto che Fineco, con l'uscita di Unicredit, sia diventata una public company a tutti gli effetti, è per lui una bella sfida, una grande opportunità. Ci spiega perché? Ci sono solo pro, o anche dei contro?
«In Italia l'assenza di un socio di controllo viene visto ancora oggi con molta curiosità perché il nostro non è il mercato dei capitali più efficiente che ci sia. Ma è un'eccezione. Nei mercati più evoluti la public company è la norma. Per questo io ci vedo solo i pro».
Elenchiamoli
«Un'azienda ha tre tipi di stakeholder: azionisti, clienti e lavoratori. E per tutti, nel lungo periodo, avviene la maggiore creazione di valore possibile. Per i primi il mercato è il padrone ideale: il più feroce e razionale che esista. Pretende utili crescenti, ma vuole che siano sostenibili; chiede trasparenza; ed esige che la società assuma sempre rischi proporzionati ai ritorni che dà. Quindi non può capitare il caso che i soci di controllo abbiano interessi divergenti da quelli dell'azienda e di tutti i suoi azionisti. Poi il cliente è più tutelato: la società è più attenta a utilizzare le pratiche commerciali più corrette ed efficienti perché c'è un controllore esterno che non si distrae mai, che è sempre il mercato. Infine i dipendenti e i consulenti si trovano in un'azienda che ha la massima probabilità di restare molto a lungo sul mercato».
Però quando nel giro di due mesi, tra l'8 maggio e l'8 luglio, Unicredit ha venduto tutte le sue azioni di Fineco, di cui controllava il 35%, il mercato ha punito le azioni: da circa 12 euro sono scese intorno ai 9.
«Vero. Ma se pensiamo alle dimensioni di questa operazione ci sarebbe da meravigliarsi se il titolo non fosse sceso. Il 35% sono circa 200 milioni di azioni, passate di mano in pochi giorni, quando mediamente Fineco tratta 2-3 milioni di titoli al giorno. Per capirci, non è tanto diverso dal mercato del pesce: immagini un luogo dove ogni mattina si vendono 200 chili di orate e un bel giorno ne arrivano 60 tonnellate. Il prezzo crolla, è normale».
Questo è chiaro. Ma chiariamo anche cosa succede adesso agli 8,7 miliardi di bond Unicredit che avevate in pancia a un ottimo rendimento: con Unicredit come controllore, per questioni regolamentari, non assorbivano capitale. Ora che succede?
«Niente. Rimane tutto come prima perché l'impatto è stato neutralizzato in partenza, prima ancora del collocamento, attraverso una «collateralizzazione» di un paniere di titoli equivalenti. Per questo l'uscita di Unicredit non comporta alcun effetto patrimoniale sulla banca».
Però avete dovuto emettere un bond dopo l'operazione. Ci spiega perché?
«È un'altra questione: esiste un rapporto, il leverage ratio, tra i mezzi propri e gli attivi della banca, che non può scendere sotto al 3%. Per mantenerlo abbiamo scelto di emettere un bond perpetual piuttosto che aumentare il capitale. E il successo dell'emissione è stato notevole e ci ha dato ragione: a fronte di 300 milioni di offerta abbiamo ricevuto richieste per 2,7 miliardi».
Bond perpetual significa che non scade mai?
«Sì, ma dopo 5 anni possiamo decidere, secondo la prassi di mercato, di rimborsarlo».
Senza un socio di controllo, che proponeva la lista del consiglio, servirà un nuovo statuto per cambiare la governance, giusto?
«Sì, l'attuale consiglio di amministrazione, che sarà rinnovato con l'assemblea di bilancio del prossimo anno, valuterà le migliori opzioni per adeguare la governance al nostro nuovo status di public company, alla luce delle migliori prassi domestiche e internazionali. Ogni decisione definitiva in merito sarà sottoposta, in tempo utile, alla valutazione dei soci in sede assembleare».
Farà un road show per spiegare tutte le novità di Fineco?
«A settembre andrò a incontrare investitori in varie parti del mondo. Ma mi lasci dire che per noi non cambia niente: siamo sempre stati un'azienda noiosa, con poca volatilità tra un trimestre e l'altro e una redditività crescente e sostenibile».
Non temete la concorrenza del fintech?
«E perché dovremmo: il fintech siamo noi. Fineco è la fintech di più grande successo in Europa. E poi le fintech non sono creature strane: fanno quello che normalmente dovrebbe esser fatto da tutte le banche, ma che molte non fanno per inefficienze tecnologiche e organizzative».
Anche per questo in Europa molte banche, tra cui anche Unicredit, stanno tagliando costi e personale.
È un problema anche per voi?«Il problema non è tagliare i costi, ma non far crescere i costi più dei ricavi. E Fineco non corre rischi perché è un'azienda in crescita. I nostri dipendenti e consulenti possono dormire sonni tranquilli».
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